Come ogni anno da 7 anni Rondine Cittadella della Pace organizza il festival internazionale sul conflitto: YoutopicFest. Quattro “giornate disarmanti”, 8-9-10-11 giugno, con oltre 40 incontri e 70 relatori nel borgo medievale di Rondine, sulle rive dell’Arno vicino ad Arezzo per promuovere e moltiplicare la cultura di pace. Il tema di quest’anno è “Nel tempo accelerato, quale spazio alla fragilità e al dolore?”, un’esperienza integrale dell’umano partendo dal tema della fragilità, per non farsi travolgere o restare paralizzati in quest’epoca in cui tutto è caratterizzato da complessità e accelerazione, ma per fare il “passo possibile” nel modo che è proprio del “Metodo Rondine”: la cura della relazione.
Quattro giornate che hanno lasciato in eredità un fuoco di speranza e una volontà impegnarsi per un mondo più giusto per tutti.
Tanti ospiti internazionali, dal sottosegretario Onu Miguel Angel Moratinos al cardinale Matteo Zuppi, dall’imprenditore Brunello Cucinelli al maestro Peppe Vessicchio, Alberto Belli Paci figlio di Liliana Segre in dialogo con 3500 giovani da tutto il mondo, studenti italiani e internazionali: sono i “nemici” delle zone di guerra che a Rondine da 35 anni si confrontano con i “Grandi della Terra” per costruire insieme un futuro capace di mettere fine ai conflitti armati.
Noi di Intoscana.it abbiamo ripercorso queste giornate insieme a Franco Vaccari presidente e fondatore di Rondine Cittadella della Pace.
Ecco la nostra intervista a Franco Vaccari
Franco, qua ci sono migliaia di giovani, ci sono i volontari, c’è il mondo della scuola, il mondo delle relazioni internazionali e le imprese. Che aria si respira a Rondine?
Un’aria di speranza. È questa festa che non dimentica nulla dei dolori del mondo, non dimentica nulla delle guerre, sia la guerra accanto a noi, che le guerre che definiamo tristemente “dimenticate”. Ma chi ci muore dentro non se ne dimentica, sono i nostri media che e la nostra coscienza che a volte le dimenticano. E non dimentichiamo tutto ciò che porta le guerre quindi le ingiustizie, le disuguaglianze, il clima. E questo non dimenticare non soffoca la festa. Noi vogliamo ricordare: Rondine lo ricorda perché 365 giorni all’anno i giovani, le coppie dei nemici che vengono dai luoghi di guerra, trasformano le loro i loro drammi in voglia di impegno civile, impegno politico impegno morale e culturale. E quindi questa trasformazione è l’anima della festa. Questi giorni sono veramente di festa, perché è una festa autentica che non dimentica nulla dei dolori del mondo.
C’è un’immagine forte, significativa, che può raccontarci queste quattro giornate che voi chiamate proprio “disarmanti” parlando di conflitto, una fotografia di queste quattro giornate?
Ma forse sono gli abbracci. Gli abbracci tra quelli che la storia definirebbe nemici. Quindi qui siamo a condividere ogni giorno ciò che forse mettiamo nel “mondo dell’utopia” e invece qui è realtà, è concreta e palpabile. Ed è anche di una forza di comunicazione enorme.
I giovani che sarebbero nemici si abbracciano, sono gli ex nemici che tornano a Rondine dai luoghi di guerra a raccontare che non si sono arresi, che hanno fatto il passo possibile per la pace
Progetti grandi, progetti piccoli, progetti a volte falliti, ma che non fanno finire il desiderio di cambiamento: qui si ritrovano ogni anno. Ritornano a Rondine e si abbracciano e questo abbraccio si dilata. Ai giovani del territorio i primi, ovviamente, sono quelli di Arezzo e della Toscana, ma anche da altre parti d’Italia, che vengono qui e qualcuno viene con curiosità, qualcuno perché già un po’ aveva conosciuto Rondine. E sono tutti i motivi che convogliano in questa festa.
C’è questo binomio, riprendendo le sue parole, tra l’utopia e la concretezza. È una pace vissuta, agita. Forse non è un caso che il festival sia iniziato proprio con una marcia con oltre 2000 giovani da Arezzo fino a Rondine Cittadella della Pace per dire: “Noi ci siamo”.
Se mi permetti vorrei una piccola correzione, sono 3500 giovani. Lo abbiamo fatto di giovedì mattina, in un giorno di lavoro e quindi ha sopravanzato le nostre attese questo piccolo fiume umano che poi è venuto qui a invadere la Cittadella e quando arrivavano eravamo lì con quelli che accoglievamo i giovani e dicevamo: “ma ancora, ne arrivano ancora, ancora, ancora”. È stata un’immagine concreta, non utopica, di quello che invece vorremmo strappare all’utopia che ogni città del mondo, specialmente le città ferite, possano essere accolte da un fiume di speranza e di pace.
Costruiamo la pace cominciando dai giovani che dobbiamo mettere alla testa dei processi. Dobbiamo smettere di parlare dei giovani e creare spazi perché i giovani si esprimano
Questo piccolo fiume umano che arriva qui proprio sul grande fiume Arno, sulle rive dell’Arno, dove c’è Rondine che è la cittadella della Pace, che è un borgo medievale vicino ad Arezzo, siamo in Toscana, che si trasforma quindi in questa terra di pace. E posso fare una domanda che può sembrare banale, forse una provocazione, ma che differenza c’è tra essere contro la guerra e essere per la pace?
“Contro la guerra” è una frase che diciamo, ma forse non ci crediamo, nel senso che ognuno di noi poi, in un angolo riposto, pensa che nella Storia dell’umanità la guerra non potrà mai essere estirpata. Finché in un angolo della nostra mente, del cuore, rimane questa piccola, terribile convinzione noi non riusciremo a essere davvero operatori di pace. Noi dobbiamo dire che la guerra può essere estirpata dalla Storia dell’umanità. Attenzione: non la violenza. La violenza ce la portiamo dentro, la violenza ci esce dalle mani, involontariamente. Però la violenza può essere contenuta. E’ la violenza che si organizza e che dilaga, che diventa la guerra. Quindi, molto realisticamente, noi dobbiamo pensare che la violenza forse non la estirperemo mai dal cuore dell’uomo, ma la guerra sì. Se rimane invece la convinzione che prima o poi, da qualche parte, la guerra fiorirà, ogni nostra affermazione “no alla guerra” è un flatus vocis, una parola vuota.
Ma questi giovani operatori di pace che si formano qui a Rondine e poi torneranno nei loro Paesi di provenienza per mettere in piedi dei progetti concreti di cambiamento, chi li guarda da fuori con pregiudizio può dire “sono solo ragazzi”. Come possono rivolgersi ai “grandi della terra” che hanno in mano le sorti di molti, e di molti conflitti armati?
La voce dei giovani non arriva forte ai “grandi della terra”, perché ci sono degli adulti normali che hanno una grande malattia: il cinismo
.Mentre marciavano da Arezzo a Rondine, sono passato accanto a un bar e sentivo con l’orecchio buono un commento che diceva “per forza, non vanno a scuola”. Ecco, è questo. Io volevo staccarmi dalla marcia e cominciare a dialogare con questa signora. E sarebbe stato forse più interessante che continuare a marciare. Un passo divergente dalla marcia, ma sicuramente molto più interessante, perché la signora pensava di esprimere un pensiero comune. A me piacciono le tracce di questa “banalità del male”, come direbbe qualcuno. La banalità che è il cinismo piccolo, davanti a un bar. Cioè, dei giovani che scelgono di uscire, di camminare insieme e fanno questa festa sommessa, non esaltata, non presuntuosa. Però fanno quello che possono e ci vengono con tutte le convinzioni. Ma scusate, ma in chiesa ma ci si va tutti con fede? Ma ci si va ognuno, poveracci noi, con un po’ di fede, un po’ di dubbi, un po’ di disgrazie, un po’ di speranze. Ma perché, noi ovunque andiamo così: ci mettiamo a tavola in famiglia, con sentimenti diversi e dobbiamo raccogliere i piccoli semi di speranza. Quindi se gli adulti non accolgono questi piccoli semi di speranza, sono dalla parte della guerra, questo sì.
Allora quali possono essere le chiavi per una convivenza pacifica anche con questi adulti pieni di pregiudizi e per costruire, magari insieme pacificati, un futuro più sostenibile per tutti?
Io sono affezionato a immagini semplici e ognuno può chiedersi il passo possibile. Guarda, due piccoli esempi, perché poi sono molto belli. Oggi abbiamo sentito a YoutopicFest, la testimonianza del figlio di Liliana Segre, Alberto Belli Paci, che racconta un incontro che ha avuto con un tedesco che ha partecipato alla seconda guerra mondiale e che gli diceva che si ubriacava tutte le sere perché non riusciva a sostenere quello che aveva fatto quando vestiva la divisa dell’esercito tedesco, invasore della Russia. A lui diceva che avevano l’ordine di tirare sempre dritto, tirare sempre dritto, tirare sempre dritto e non spostarsi mai di fronte a un bambino, di fronte a una scuola, di fronte alla casa, tirare dritto, distruggere tutto. E Alberto, il figlio della Segre, gli chiedeva: ma non potevi a un certo punto divergere un po’, cambiare, spostare, scostare un bambino, una donna, una casa? Dovevamo tirare dritto. Il resto della sua vita si ubriacava per dimenticare questo tirare dritto. Si può fare tanto. E allora in Toscana mi piace ricordare un episodio che non ho raccontato ai marciatori da Arezzo a Rondine, me ne pento un po’. Perché in marcia si passa il ponte sull’Arno, Ponte Buriano. Questo ponte è salvo, e non lo sanno in tanti, grazie a un maggiore inglese che doveva bombardarlo e per i casi fortuiti della vita, sapeva che era un ponte del 1300 e fece finta di sbagliare il bombardamento. E ci sono le bombe a destra e a sinistra del ponte, e il ponte lo salvò. Stette zitto, l’hanno scoperto poi negli gli anni e dopo 25 anni da allora sono andati a prenderlo da qui a Londra e gli hanno fatto una grande festa. Sembrava una festa asiatica con le corone di fiori, per festeggiare quest’uomo che mi piace ricordare perché non è stato un eroe, ma è stato furbo.
Ha disobbedito.
Ha disobbedito, ma senza dirlo. Ha detto: ho fatto finta di sbagliare. Mi piace, è un capolavoro! Perché non è un eroe, però è un furbo che capisce che poteva fare qualcosa e lo ha fatto.
Ha fatto una scelta. Forse è questo l’invito che viene fatto ai giovani di Rondine?
Noi passiamo sopra quel ponte perché un uomo ha fatto una scelta. Ora che mi ci hai fatto pensare, dovrò raccontarla di più questa storia.
Qual è l’eredità di questo YoutopicFest 2023 e cosa dobbiamo aspettarci per la prossima edizione del festival?
L’eredità di questi quattro giorni è più voglia di speranza, più voglia di andare avanti, più impegno, più possibilità concrete per tutti. Per chiunque. E il tema, lo avete sentito annunciato da me con tutti questi giovani abbracciati è: “La fiducia: averla, riceverla, perderla, ritrovarla. Al cuore del rischio della vita”.
Al cuore del rischio della vita, al cuore delle relazioni che sono il vero “cuore pulsante” del conflitto, come insegna Rondine Cittadella della Pace.