Dal 16 aprile al 30 giugno arrivano per la prima volta a Palazzo Pitti a Firenze i capolavori dell’Avanguardia nata in Uzbekistan nei primi decenni del ‘900.
L’esposizione dal titolo “Uzbekistan: l’Avanguardia nel deserto. La luce e il colore” che si colloca negli spazi dell’Andito degli Angiolini ospita 150 opere, soprattutto dipinti su tela, affiancati da una selezione di testimonianze della tradizione tessile uzbeka.
Le opere provengono dal Museo Nazionale di Tashkent e dal Museo Savitsky di Nukus. Il progetto espositivo è promosso e sostenuto dalla Fondazione Uzbekistan Cultura ed è curato da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri.
Il sottotitolo della mostra fiorentina “La luce e il colore” deriva idealmente da un passo illuminante dell’Autobiografia di Igor’ Savickij il quale scriveva: “Questi luoghi sono caratterizzati da un colorito sottile, dove il colore – in un’infinita varietà di combinazioni e di armonie – ti forza ad arricchire la tua percezione ed ammaestra l’occhio a essere particolarmente sensibile a queste variazioni raffinatissime e al contempo intense e pittoresche che non solo rendono i luoghi particolarmente attraenti, ma li trasformano anche in un’originale scuola che sviluppa la percezione del colore e della luce e conferisce particolare vivacità alla visione cromatica”.
Osservando leopere, realizzate negli anni Venti e Trenta da Volkov, Tansykbaev, Karachan, Nikolaev (Usto Mumin), Elena Korovaj, Nadežda Kašina e molti altri, indipendentemente dal fatto che si tratti di dipinti su tela o su carta o che siano stati creati a Samarcanda, Bukhara o Tashkent, si entra in un mondo incantato, pieno di colori, luce, osservazioni vivide e connotazioni simboliche.
Un mondo che che prende spunto da tradizioni occidentali, russe e orientali e che esisteva ben prima che gli artisti lo raffigurassero nei loro segni. Si può in qualche modo percepire una affinità con le opere di artisti come Paul Gauguin, armonizzando la tradizione e la strada all’innovazione.