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Una mostra a Firenze racconta il complesso rapporto di Michelangelo con i potenti

L’esposizione è aperta dal 18 ottobre al 26 gennaio 2025 al secondo piano di Palazzo Vecchio, tra la Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli, con un percorso di più di cinquanta opere

Il rapporto di Michelangelo Buonarroti con il potere, la sua visione politica e la sua determinazione nel porsi alla pari con i potenti della terra: sono questi i temi che sono al centro della mostra “Michelangelo e il Potere”, a cura di Cristina Acidini e Sergio Risaliti, promossa dal Comune di Firenze in collaborazione con Fondazione Casa Buonarroti.

L’esposizione è aperta dal 18 ottobre al 26 gennaio 2025 al secondo piano di Palazzo Vecchio, tra la Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli, con un percorso di più di cinquanta opere.

Si tratta di sculture, dipinti, disegni, lettere autografe e calchi in gesso, frutto di eccezionali prestiti da prestigiose istituzioni come le Gallerie degli Uffizi, i Musei del Bargello, la Fondazione Casa Buonarroti, la Fundación Colección Thyssen-Bornemisza e le Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, per citarne solo alcuni.

In mezzo alle turbolenze dei conflitti religiosi e delle guerre che attraversarono l’Europa, mentre l’Italia e la Toscana divenivano il campo di battaglia tra Spagna e Francia, Michelangelo difese in ogni modo la sua libertà di coscienza, rivendicando il potere dell’arte e dell’artista.

Michelangelo Buonarroti, il Bruto

Il busto di Bruto: lo schiaffo al potere di Michelangelo

Vera e propria star della mostra è il celebre busto di Bruto, eccezionalmente concesso in prestito dal Museo Nazionale del Bargello e per la prima volta nella storia esposto a Palazzo Vecchio.

La collocazione della scultura del Bruto all’interno del palazzo del governo fiorentino si ammanta di un fortissimo significato politico, esplicitando il confronto fra il pensiero politico di Michelangelo e il potere mediceo. Il ritratto del tirannicida, si può ritenere un manifesto politico a tutti gli effetti.

Il busto fu ispirato all’artista da Donato Giannotti, che era tra i maggiori esponenti di quel partito di esuli fiorentini rimasti fedeli alla repubblica e nemici dei Medici, diventati padroni assoluti di Firenze dopo l’assedio nel 1530.

Il Bruto sarebbe stato scolpito dopo l’uccisione del duca Alessandro il Moro, pugnalato il 6 gennaio 1537 dal cugino Lorenzino de’ Medici, detto Lorenzaccio, che venne salutato come eroe della Libertas comunale dagli esuli fiorentini; oppure, secondo un’ipotesi alternativa, sarebbe da datarsi dopo l’assassinio di Lorenzaccio avvenuto a Venezia il 26 febbraio 1548 per mano di sicari inviati da Cosimo I.

La scultura del Bruto nacque dunque come un omaggio da parte del Giannotti al coltissimo cardinale Niccolò Ridolfi, figura di spicco tra i fuorusciti fiorentini e sostenitore di un modello governativo repubblicano di impianto popolare, che aveva esaltato Lorenzino de’ Medici quale ‘novello Bruto’.

La quadreria dei potenti

L’allestimento in Sala dei Gigli ricrea il fitto reticolo di incontri, confronti e scontri di Michelangelo con il potere, disegnando una sorta di costellazione di ritratti di uomini e donne potenti.

Qui si susseguono i ritratti di Girolamo Savonarola di Fra’ Bartolomeo e di Pier Soderini attribuito a Ridolfo del Ghirlandaio, oltre a quelli di Cosimo I in armatura di Agnolo Bronzino, di Vittoria Colonna, del Cardinale Reginald Pole in conversazione con Paolo III e quello di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Innocenzo Cibo, sempre del Bugiardini.

La ‘quadreria’ rende con evidenza plastica il magnetismo esercitato a 360 gradi da Michelangelo e dalle sue opere, in una rete di connessioni tra l’artista e il potere che è durata per quasi un secolo attraversando la luminosa stagione di Lorenzo il Magnifico, quella ‘piagnona’ di Frate Savonarola, primeggiando nel ‘nuovo mondo’ culturale instaurato dal gonfaloniere Soderini assieme a Machiavelli e Lorenzo di Pier Francesco, detto il Popolano, fino agli anni del doppio pontificato mediceo con Leone X e Clemente VII.

Furono decenni che misero alla prova il potere della Chiesa di Roma investita dalla Riforma di Lutero, alla quale si reagì con il Concilio di Trento e con la conseguente Controriforma, assoggettando le arti della pittura e della scultura alle regole della dottrina cattolica.

Michelangelo e il potere, Palazzo Vecchio, foto di Leonardo Morfini

 

 

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