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Un secolo per realizzarlo, poi fatto a pezzi nel clamoroso furto di cento anni fa: la storia dell’Albero d’oro

Realizzato dal 1350 al 1471, è tra i massimi capolavori dell’arte orafa italiana di tutti i tempi. Nel 1914 fu trafugato dalle sale del Comune di Lucignano e smembrato

Lucignano - © Filip Fuxa

Ci volle più di un secolo per realizzarlo, dal 1350 al 1471, e ancora oggi l’Albero d’oro di Lucignano resta tra i massimi capolavori dell’arte orafa italiana di tutti i tempi. Ma non solo per questo è passato alla storia: nel 1914 fu trafugato dalle sale del Comune e poi fatto a pezzi dai ladri per trasportarlo. Tempodopo furono ritrovati pezzi nelle campagne senesi e quindi ricostruito in un complicato lavoro di restauro.

La storia dell’Albero d’oro

L’Albero è il più importante esempio di quella rara tipologia di reliquiari detti fitomorfi, ovvero a forma di albero stilizzato dalle molteplici valenze simboliche. La sua fonte d’ispirazione fu l’opuscolo mistico Lignum vitae composto intorno al 1259-1260 dal francescano San Bonaventura, che descrive la croce come albero della vita dai rami rigogliosi.

L’albero d’oro di Lucignano

Unico nel suo genere anche per le dimensioni, 2 metri e 70 centimetri di altezza, è stato da sempre amato dalla comunità di Lucignano, i cui membri in passato erano soliti farsi le promesse di matrimonio all’ombra dei suoi fiabeschi rami.

L’Albero è costituito da una monumentale struttura in rame dorato sostenuta da un largo piede dal profilo mistilineo, che fino agli inizi del Novecento appariva decorato da figure di santi in lamina d’argento aggiunte nel XVII secolo. Il nodo ha la forma di un elegante tempietto gotico a sezione ottagonale, concepito per ospitare al suo interno reliquie.

Albero d’oro Lucignano5

Sul nodo si imposta il fusto vero e proprio, da cui si articolano sei rami per parte, intervallati da altrettanti boccioli con rametti di corallo. Ogni ramo è ornato da foglie di vite e da due piccole foglie trilobate con funzione di teche per reliquie. Altri sacri resti erano collocati probabilmente nei dodici medaglioni con coralli posti all’estremità di ciascun ramo. Tali medaglioni riportano sul retro placche in rame dorato e argento con smalti traslucidi – solo in minima parte conservati – raffiguranti santi e sul fronte raffinate pergamene miniate con mezzi busti di profeti protette da cristalli di rocca. Delle dodici placche d’argento oggi ne rimangono sette, mentre sei sono le miniature ancora presenti. Al vertice dell’Albero spiccano il Cristo crocifisso e il simbolo cristiano del pellicano che si ferisce il petto per nutrire i suoi piccoli, eseguiti a tutto tondo in metallo dorato.

Destinato alla chiesa di San Francesco a Lucignano, l’Albero d’oro fu iniziato nel 1350 e portato a termine solo nel 1471 grazie al lascito di una certa Madonna Giacoma, come attestato dalla lunga iscrizione in latino sul piede, che tramanda anche il nome dell’orafo senese Gabriello d’Antonio, fautore del completamento dell’opera. Resta anonimo invece il maestro trecentesco che diede principio al reliquiario e che forse ne ideò la struttura.

In passato questo autore è stato riconosciuto in Ugolino di Vieri, rinomato orafo del XIV secolo, ma studi recenti sono propensi a riferire la parte più antica dell’Albero a un artista aretino fortemente influenzato dall’arte orafa senese. Discussa si presenta anche l’attribuzione delle sei miniature superstiti con immagini di profeti nei medaglioni dei rami. Cinque di esse mostrano caratteri stilistici molto simili e sono riferibili alla mano di uno stesso artista, identificato di volta in volta dalla critica con un seguace di Piero della Francesca, con Bartolomeo della Gatta, con Francesco d’Antonio del Chierico o con un miniatore fiorentino che rivela nel suo stile l’ascendenza di pittori come Alesso Baldovinetti e il Maestro di Pratovecchio.

Il furto nel 1914

L’opera venne rubata nel 1914 dalla sede comunale di Lucignano. Come testimoniano alcune fotografie dell’epoca, solo piccole porzioni dei rami e il pesante basamento furono risparmiati, seppur depauperati degli elementi più preziosi. Tra il 1927 e il 1929 molti frammenti dell’Albero –  fatto a pezzi dai ladri per facilitarne il trasporto –  vennero ritrovati nelle campagne del comune di Sarteano, in provincia di Siena, dove erano stati nascosti dagli autori del furto. Non furono recuperati invece elementi di grande importanza come il crocifisso terminale, il pellicano, uno dei rami, quattro dei medaglioni circolari, cinque placche d’argento, almeno tre miniature e la parte superiore del nodo a tempietto. Andarono perduti anche quei pochi rametti di corallo che il reliquiario ancora presentava al momento del furto.

Su incarico dell’allora Regia Soprintendenza di Firenze, il restauro dell’opera fu affidato all’Opificio delle Pietre Dure. Si trattò di un intervento complesso e delicato, con la ricomposizione di oltre cento frammenti e nella reintegrazione di tutte le parti mancanti, crocifisso e pellicano compresi, mediante copie realizzate sulla base delle fotografie Alinari risalenti alla fine dell’Ottocento.

Per ovviare alla perdita quasi totale dei coralli, l’Opificio ricorse a piccole branche acquistate appositamente presso la ditta Ascione di Torre del Greco, scelte di un colore molto simile a quello di alcuni frammenti dei rametti originali rinvenuti nei castoni. Nel caso delle miniature, infine, furono collocati all’interno dei medaglioni circolari rimasti vuoti dischi di cartapecora dipinti con colori fusi in modo da ottenere una stessa armonia con gli esemplari superstiti. Dopo tre anni di intenso lavoro, il restauro fu concluso il 9 settembre 1933.

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