Italiani, toscani, migranti, che costruisco vite e generazioni altrove, ma che con il paese di origine custodiscono e coltivano legami affettivi e culturali. Un flusso di persone in movimento verso l’estero che aumenta, soprattutto per la Toscana: dopo la pandemia, nuovo anno zero per lo studio del fenomeno, si è registrata una crescita in particolare per i giovani sotto i 35 anni. Si rafforzano anche le comunità di connazionali nei paesi stranieri, che qui ritrovano tradizioni e senso di appartenzena. Il rapporto italiani nel mondo fotografa tutto questo, ma soprattutto evidenzia le tendenze in un mondo che cambia. Delfina Licata, sociologa delle migrazioni presso la Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana ha curato l’indagine, analizzando i cambiamenti e le novità di un fenomeno che si evolve, come la società.

Dottoressa Licata, com’è cambiata l’immigrazione nell’ultimo periodo?
Partiamo dalla pandemia, che ha determinato un cambiamento nei numeri e nei profili. Nel 2020 abbiamo avuto un fermo immagine per quanto riguarda le partenze e un’onda lunga che è arrivata fino al 2023. Dopo c’è stato una ripresa per giovani adulti, famiglie con minori al seguito e anziani. Solo nell’ultimo anno parliamo di un raddoppio della presenza all’estero, circa centomila partenze di cui la metà ha riguardato giovani fra i 18 e i 34 anni, il 23% dai 35 ai 40 anni, ma abbiamo avuto anche un 15% di minori e un 7% invece di anziani over 65 anni, quella che noi chiamiamo mobilità previdenziale. Se, guardando all’Italia, il numero è praticamente raddoppiato passando da 3 milioni e 100 a 6 milioni e 100, per la Toscana la crescita è maggiore: siamo passati da poco più di 91 mila iscrizioni a 226.732. L’altra cosa interessante è che, rispetto a quello che accade a livello nazionale, riscontriamo una popolazione molto più giovane. Osserviamo così che, negli anni, la comunità dei toscani si è svecchiata sempre di più.
E questo è un bene o male secondo lei?
Diciamo che è un bene, nel senso che abbiamo formato intere generazioni ad avere una mentalità più ampia e quindi a sentirsi parte di questo mondo. Dall’altra parte però, ma questo riguarda il livello nazionale, si parte ma è difficile rientrare. Si dice che il processo migratorio perfetto è dato da partenza e ritorno e non è questo il caso. Non esistono adesso le condizioni affinché siano possibili i ritorni.
Ma perché le persone emigrano?
Quando noi chiediamo la motivazione non è mai, o quasi mai, il lavoro, la retribuzione. Loro parlano di una realizzazione esistenziale che passa anche attraverso una migliore retribuzione, un lavoro più dignitoso, la possibilità di realizzarsi come persone e come professionisti. Nell’ultimo anno tanti ci rispondono poi che la motivazione è anche la realizzazione di progetti familiari. Quindi ci parlano di genitorialità, di desiderio di paternità e di maternità. Insomma, tutto quello che poi nel volume abbiamo sintetizzato come carenza-assenza in Italia di un ascensore sociale che permetta di migliorarsi come persone e come lavoratori.
Quali sono i paesi di destinazione preferiti?
Anche qui abbiamo avuto un scombussolamento delle carte a causa della pandemia, perché prima avevamo oltre 200 destinazioni in tutti i continenti. Adesso abbiamo enucleato nell’ultimo anno 168 destinazioni, oltre il 74% delle quali europee. Bene paesi come il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Francia. Si è ridotto il raggio di destinazione reputando l’Europa un paese più sicuro.
La politica statunitense targata Trump ha un effetto sui flussi migratori?
È troppo presto per valutare, non so ancora i numeri, ma le posso dire la percezione. Sono stata da poco a New York, a presentare il rapporto, ed effettivamente il contraccolpo delle comunità italiane è forte, nel senso che loro si sono sempre sentiti protagonisti di un paese che li ha accolti proprio per merito. Ritrovarsi in un paese che cambia la mentalità rispetto ad uno straniero che non è ospite, ma diventa indesiderato è destabilizzante. Non arrivi perché dai, ma arrivi perché vuoi: è cambiato proprio il paradigma del sogno americano.
Le associazioni italiani nel mondo, come i toscani nel mondo, rafforzano il senso di appartenenza alla comunità di origine?
Chi è all’estero ha sviluppato un’idea di cittadinanza plurima e ampliata, quindi chi vive all’estero non si sente assente dall’Italia ma presente in maniera differente. La loro partecipazione dall’esterno, a distanza, non è meno meritoria o meno importante rispetto a chi in Italia c’è. [mark]Questo spirito di comunità, questo legame tra persone si manifesta anche in nuove forme associative come quelle intorno ai social media. Sono cittadini di quel luogo, ma comunque sono portatori di una serie di legami e di caratteristiche che sono immediatamente riconoscibili come italiane. Le faccio degli esempi: lo stile di vita di una famiglia, il tipo di alimentazione, la sensibilità religiosa, le tradizioni che continuano ad essere delle costanti e che vengono valorizzate e riproposte.
Che particolarità ha notato nella comunità toscana all’estero?
Io vedo un estremo legame con la cultura, con la musica soprattutto per chi ha origini lucchesi. Un aspetto così spiccato che diventa una connotazione come l’ attaccamento con il territorio. La peculiarità delle associazioni toscane è che hanno precorso un po’ i tempi e continuano ad essere brave a leggere il cambiamento. Penso ad esempio all’associazione dei lucchesi che ha visto per prima l’importanza del turismo di ritorno. Così come l’aspetto della cura profonda dell’intergenerazionalità.