“Non abbiamo soldi. Ma se ci date le travi, la casa ce la ricostruiamo da soli…”. È quel che si può leggere su una vecchia lettera ingiallita dal tempo. Forse queste non sono le parole esatte, ma poco ci manca. Di esperienze, pensieri, racconti e testimonianze di quel che fu il terribile terremoto del 1920 ce ne sono a centinaia. Ma il rischio più grande, come spesso capita quando iniziamo a fare i conti con la nostra storia, è abbandonare quei preziosi documenti chissà dove. Il rischio più grande, quando parliamo della memoria, è permettere che sbiadisca, deteriorandosi fino a scomparire.
Il libro della memoria
Dedicare spazio, energie e risorse alla raccolta e alla conservazione delle testimonianze non è solo una missione, ma anche (e soprattutto) un gesto di civiltà. Difendere e tramandare le parole di chi ha inciso sulla pelle e nel cuore le ferite di un evento traumatico – come solo un terremoto o una guerra possono essere – dovrebbe rappresentare per tutti un dovere morale.
Spinti da questa convinzione – e dalla forza inarrestabile della passione – Silvio Fioravanti e Silvano Benedetti hanno realizzato una ricerca proprio in quella direzione. Un lavoro durato anni e che presto troverà il suo compimento. La Pro Loco di Castelnuovo Garfagnana, di cui Silvio è presidente, stamperà a breve una pubblicazione che non si limiterà a riproporre i fatti già noti del sisma che un secolo fa distrusse fisicamente, economicamente e socialmente sia la Garfagnana sia la Lunigiana. No, in quelle pagine a colori e di grande formato troveranno spazio immagini e racconti inediti. Storie di vita, di relazioni e di solidarietà. Storie di migrazioni, di perdite e di abbandoni.
Il conteggio dei morti
“Quella mattina, quando gli uomini cominciarono a raggiungere i campi, le donne rincasarono e i bimbi furono mandati a dormire nei loro letti”
“La nostra ricerca ci ha portato a scoprire cose nuove. Fare un copia e incolla non sarebbe servito a nulla” ci spiega Silvano Benedetti. Lui è un ammiraglio della Marina ormai in pensione. Da sempre s’interessa di storia locale. Non solo nell’ambito del Museo navale della Spezia, dove risiede. Il suo interesse riguarda anche la Garfagnana e, ovviamente, gli avvenimenti collegati al grande terremoto del 1920. “Del resto sono originario di Villa Collemandina”, aggiunge orgoglioso. Per le sue ricerche non si è limitato a consultare gli archivi locali di Spezia, Lucca e Massa Carrara. Ha spulciato con pazienza e attenzione anche gli archivi della Regione Toscana e quelli del quotidiano La Nazione, a Firenze. E perfino l’Archivio centrale dello Stato e quello storico della Marina, entrambi a Roma.
“Abbiamo ricostruito quanto accaduto. Ma abbiamo scoperto alcune imprecisioni”, racconta Silvano. “Come ad esempio il numero dei morti, che è superiore rispetto a quanto riportano tutte le fonti”. Quando si parla del terremoto di Garfagnana e Lunigiana, il riferimento è sempre il solito: 171 deceduti e 650 feriti. “Eppure i morti furono più di duecento”, dicono i due ricercatori. “Stiamo concludendo le verifiche, ma il numero è senz’altro superiore. Ci sono infatti incongruenze sui dati. Spesso si fa confusione tra comuni e frazioni, inoltre abbiamo riscontrato lacune nella registrazione dei morti in ospedale. I primi feriti furono ricoverati all’ospedale di Castelnuovo, che però era fin troppo piccolo rispetto al bisogno. Così molti furono trasferiti negli ospedali di Barga e Lucca. Difficile tracciare tutti”. Come se non bastasse, la maggior parte delle vittime furono donne e bambini. “C’era stata una scossa il giorno prima, molti dormirono all’aperto. Ma a settembre fa giorno presto. Quella mattina, quando gli uomini cominciarono a raggiungere i campi, le donne rincasarono e i bimbi furono mandati a dormire nei loro letti”.
Quando la ricostruzione “distrugge”
“È stato rotto lo spirito della comunità, la gente non riconosceva più il paese in cui abitava”
Un altro aspetto interessante di questa ricerca è anche il confronto delle strutture urbanistiche dei paesi, prima e dopo il terremoto. La ricostruzione, si sa, non è mai un atto scontato. Se avviene, quando avviene, raramente rispetta la storia, la tradizione e le relazioni sociali pregresse. I terremoti non distruggono solo gli edifici, ma anche le vite delle persone. A cominciare dai sopravvissuti. “I paesi sono cambiati radicalmente”, spiega Fioravanti. “Molte chiese sono state demolite e mai ricostruite. Oppure sono state ricostruite altrove, come ad esempio è accaduto a Camporgiano. La chiesa sorgeva dove ora c’è la piazza del paese”. Anche Villa Collemandina è stata snaturata dalla ricostruzione. “In quel caso è stato stravolto il tessuto urbano e sociale del paese” racconta Benedetti. “È stato rotto lo spirito della comunità, non si riconoscevano più nel paese in cui abitavano. Dove prima c’erano vie di due metri o poco più, sono state costruite strade larghe otto metri. E tutt’attorno casette a schiera che hanno snaturato la socialità e le abitudini, sradicando i ricordi. A quel punto il paese non è più il tuo paese”.
Collezionare la storia
Dai documenti e dalle lettere raccolte (alcune scritte dai parenti migrati in America, bramosi di notizie sullo stato di salute dei loro cari) spesso si parla di cose pratiche e concrete, come i metati e le stalle ormai distrutte. D’accordo, le case erano importanti. Ma anche poter provvedere al sostentamento, allevando e producendo la farina di castagne, era altrettanto fondamentale. “E ora le mucche dove le mettiamo?”, si domandava qualcuno. Tutti documenti, questi, che Silvio Fioravanti ha raccolto nel tempo. Il suo è più che altro un atto d’amore verso il territorio. L’incontro con Silvano Benedetti, avvenuto qualche anno fa proprio in vista del centenario del terremoto, è solo il tassello che mancava per la realizzazione di un progetto che, di fatto, era già stato avviato tempo prima.
“Da bambino mi facevo raccontare il terremoto dalla bisnonna”
Infatti Silvio, archeologo di mestiere, è anche un collezionista di cartoline e foto d’epoca. Ha iniziato giovanissimo, e col tempo la raccolta è cresciuta a dismisura. “Tutte le volte che ho avuto l’opportunità di acquistare nuovo materiale, l’ho fatto” ci racconta. “Foto, giornali, le medaglie conferite ai soccorritori, i biglietti della lotteria organizzata per sostenere le opere assistenziali…”. Un vero e proprio patrimonio che avrebbe potuto diventare una mostra o addirittura un museo, ma che invece diventerà un libro. Prezioso, almeno nelle premesse. “Avremmo voluto presentarlo nel giorno dell’anniversario, ma durante il lockdown abbiamo sospeso l’attività di ricerca. Il volume uscirà entro la fine dell’anno”, assicura Benedetti.
Il racconto (inedito) dei testimoni
“Il parroco di Sassalbo racconta di essere miracolosamente uscito illeso dalla chiesa che gli stava crollando alle spalle e in cui sono morti i due sacerdoti che erano con lui”
Il libro non ha ancora un titolo. Ma di una cosa siamo certi: conterrà molte testimonianze inedite. Alcune le ha raccolte direttamente Silvio nel corso degli anni, già quando frequentava le scuole superiori. “Da bambino mi facevo raccontare il terremoto dalla bisnonna”, ci dice. Di sopravvissuti, ormai, non ce ne sono più. O quasi. “A Villa Collemandina ci sono due signore centenarie, impossibilitate a raccontare”, aggiunge Silvano. “La loro testimonianza sarebbe stata importante. Non tanto per il ricordo del terremoto, perché erano piccolissime, ma per quei primi anni vissuti nelle baracche. Nelle due settimane successive al sisma furono consegnate le tende, poi è iniziata la costruzione delle baracche, durata fino a dicembre. Lì, in quelle baracche, hanno vissuto nei cinque anni successivi“.
Tra le testimonianze scoperte da Silvano Benedetti c’è quella del parroco di Sassalbo, piccola frazione di Fivizzano. “Era contenuta nell’archivio diocesano di Aulla” ci racconta. “È un testo emozionante, puntuale, ben scritto. Il prete racconta tutto quello che è avvenuto e di come lui e la sorella hanno vissuto l’evento. Pur nella sua crudezza, quel racconto ha una sua intrinseca bellezza. Racconta di essere miracolosamente uscito illeso dalla chiesa che gli stava crollando alle spalle e in cui sono morti i due sacerdoti che erano con lui. E di come ha vissuto le prime ore nel paese distrutto. Ha descritto situazioni tragiche, ma lo ha fatto con uno stile romanzesco”.
L’anno zero
Entrambi sono concordi sul fatto che il terremoto ce l’hanno ancora tutti vivo nella memoria, sia in Garfagnana sia in Lunigiana. “Anche quelli che non l’hanno vissuto”, dicono i due ricercatori. Del resto, per i territori colpiti, il sisma ha rappresentato un anno zero. C’era un prima, c’è stato un dopo. Il libro di Fioravanti e Benedetti, così come tutte le iniziative e i racconti destinati a tener vivo il ricordo, contribuirà a rafforzare la storia. Sapere chi siamo stati e cosa abbiamo vissuto è il primo elemento fondante per una rinnovata consapevolezza rispetto al verificarsi – ahinoi, sempre più probabile – di eventi estremi.