Con un corteo silenzioso, alla presenza del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini, ha sfilato questa notte a Firenze un corteo commemorativo per il ventinovesimo anniversario della strage dei Georgofili.
In quella notta di maggio del 1993, alle 1:04 tra il 26 e il 27 un boato sconquassò il capoluogo toscano. L’autobomba costò la vita a cinque persone e causò danni al patrimonio artistico della Galleria degli Uffizi . E proprio lì, sul luogo dell’attentato, il corteo commemorativo ha deposto una corona floreale.
Il corteo è partito dalla vicina piazza della Signoria per arrivare alla vicina via dei Georgofili. Presenti, tra gli altri, il sindaco di Firenze Dario Nardella, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, e rappresentanti dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage.
Commozione e desiderio di fare luce su quella notte i sentimenti che hanno accompagnato tutte le cerimonie che intendono mantenere viva la memoria della strage di stampo mafioso di via dei Georgofili: quei trecento chili di tritolo piazzati sotto la Torre del Pulci, un attentato che proseguì l’ondata di sangue che stava caratterizzando l’Italia in quegli anni, con le morti, tra gli altri, dei giudici Falcone e Borsellino.
L’importanza del ricordo
“Dobbiamo coltivare il senso della memoria per non abbassare la guardia. Dobbiamo parlare ai cittadini e fare dei beni confiscati alle mafie presidi vivi: di memoria e di impegno” ha detto il presidente della Toscana Eugenio Giani, che ha aperto il convegno che si è tenuto a palazzo Strozzi Sacrati, sede della presidenza della Regione. “Quella bomba esplosa sotto la Torre del Pulci – ha ricordato Giani – suonò allora come un campanello d’allarme”. Su una mafia più vicina di quanto si pensasse.
Ricordare e fermarsi a riflettere, ventinove anni dopo, non è un gesto non scontato. Soprattutto non deve essere fine a se stesso. Per questo la Regione Toscana da tanti anni lavora a progetti di educazione alla legalità “ispirate ad una visione – ha spigato l’assessore Stefano Ciuoffo – di formazione ed educazione rivolta alle generazioni più giovani, che crescono oggi sapendo che le istituzioni sono dalla loro parte e questa è già una vittoria “. In Toscana si è deciso di raccontare ai giovani, ancora oggi, e costruire archivi e case della memoria, per rafforzare la cultura della legalità.
Domande attendono ancora risposta
Quella notte di ventinove anni fa nella quale morirono cinque persone (Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, lei custode dell’Accademia dei Georgofili e lui ispettore dei vigili urbani, le loro figlie Nadia e Caterina di appena nove anni e soli due mesi e lo studente universitario di Sarzana Dario Capolicchio) e altre quarantotto persone rimasero ferite è avvolta ancora oggi da tanti interrogativi .
“Perché ad esempio – ha spiegato il procuratore della Repubblica aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli – un personaggio come Paolo Bellini, legato ad ambienti di estrema destra, si sia incontrato con il mafioso Antonino Gioè, uno degli esecutori della strage di Capaci, e perché abbia istillato l’idea di colpire il patrimonio culturale”. “Dobbiamo capire le ragioni della morte in carcere dello stesso Gioè, in circostanze non del tutto chiarite, e quello che scrive nella sua lettera testamento. Dobbiamo capire cosa è successo in via Palestro a Milano e perché tutti gli attentati, a parte quello di via Palestro, siano stati rivendicati dalla Falange Armata”.
E dobbiamo capire perché nel 1994 la stagione delle stragi improvvisamente si interrompe, quando Denaro e Bagarella erano ancora liberi e nelle condizioni di proseguirla. Dobbiamo capire l’avvio delle trattative dello Stato con la mafia e come sia possibile che Messina Denaro, a distanza di tanti anni, sia ancora latitante. Questo dobbiamo capire. Queste le domande che non possono restare aperte. Per chi ha perso la vita nelle stragi mafiosi di quegli anni. Per le loro famiglie. Per la nostra società. Non dobbiamo mai far crede a Cosa Nostra, alla criminalità organizzata, che il tempo assopisca la ricerca della verità e la spinta investigativa . Non esistono verità indicibili, lo scrive anche il presidente della Camera Roberto Fico nella lettera che ha voluto inviare ai familiari: “Non vi possono essere verità indicibili soprattutto non si possono evocare ragioni di Stato che, dopo tanti anni, hanno per lo più perduto la loro ragione di essere. La lunga storia dello stragismo ha evidenziato connivenze tra criminalità organizzata, gruppi terroristici e pericolose metastasi all’interno degli apparati dello Stato: devianze finalizzate a provocare un corto circuito della democrazia”. “Le istituzioni devono farsi carico del debito di verità che ancora pesa su quelle tragiche vicende, così come su tante altre pagine del nostro passato intrise di oscurità” ha aggiunto la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati in un messaggio inviato, per l’anniversario della strage, all’associazione.
Le stragi “dimenticate” del biennio 1993/1994
Ci sono stragi sulle quali dobbiamo continuare a tenere vivo il ricordo perchè rischiano di cadere nel dimenticatoio. Ci si è dimenticati, col tempo, delle stragi del 1993 e 1994, che non furono solo quella di Firenze. Ci fu infatti l’autobomba fatta esplodere a Roma in via Fauro ai Parioli il 14 maggio, poco dopo il passaggio del giornalista Maurizio Costanzo che rimase illeso, e le altre due bombe, scoppiate quasi in contemporanea il 27 luglio, in San Giovanni in Laterano a Roma e in via Palestro a Milano, con quattro vittime e una dozzina di feriti. Il 28 luglio un altro ordigno esplose, sempre a Roma, davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, con un altra ventina di feriti. Ci furono anche due attentati falliti: il 23 maggio 1994 nella vicinanze dello stadio Olimpico di Roma e il 14 aprile, per il ciglio di una strada dove di solito passava il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno.