Il lockdown a causa del Coronavirus volenti o nolenti è stato uno spartiacque nelle nostre vite. C’è chi è stato benissimo perché finalmente si è potuto rilassare e godere la famiglia e le attività casalinghe o la lettura di quel libro tanto a lungo rimandata affogato da mille impegni lavorativi. E c’è chi invece è andato in ansia, magari separato da amici e parenti stretti si è trovato da solo a fissare lo schermo del computer pendendo dalle labbra di Giuseppe Conte in attesa di sapere quando sarebbe potuto di nuovo uscire per farsi una birra al bar.
C’è chi ha perso il compagno/a, c’è chi ha trovato un nuovo amore nato online, c’è chi ha perso il lavoro purtroppo e c’è chi ha deciso di fare della crisi un’opportunità, per crescere, per migliorarsi. Come il fotografo Antonio Viscido, da anni punto fermo nel mondo musicale toscano. Con tutti i concerti ‘messi in pausa’ dal Covid si è trovato da un giorno all’altro senza sapere cosa fare ed ha inventato ‘Storia di Àncore’ un progetto fotografico che ha posto una semplice domanda: grazie a chi o a cosa siete riusciti a sopravvivere durante il lockdown?
La domanda rivolta in modo assolutamente naturale ai suoi contatti Facebook ha scatenato una valanga di risposte entusiastiche. Così Antonio è partito, prima in Toscana e adesso anche nelle altre regioni per entrare nelle case delle persone che hanno deciso di raccontare il loro lockdown, la loro storia ‘in cattività’. Questo è il racconto di cosa è accaduto dopo.
Ciao Antonio, com’è nata l’idea di Storie di Àncore?
Durante il lockdown ho perso il lavoro, la fidanzata (ride), sono in quella fascia di persone che si è trovata un po’ devastata dal Covid. Ci sono stati tanti progetti che hanno voluto raccontare l’isolamento, la chiusura, alcuni molto divertenti, altri più romantici. Li ho apprezzati molto, ma a me interessava ripartire, volevo uscire di casa. Mi chiedevo quali sono quelle cose che ci hanno fatto tenere la barra dritta, che ci hanno fatto rimanere stabili in mezzo al caos. Non è andato tutto bene, per qualcuno proprio per niente bene. L’ho chiesto in maniere brutale su un social e ho avuto una risposta surreale. Non pensavo che accadesse tutto questo. Piano piano ho scoperto che le persone volevano raccontarmi le loro storie.
Quante persone hanno risposto al tuo appello?
In questo momento ho chiuso le liste, perché vorrei chiudere il progetto a fine settembre. Siamo intorno a 230 persone, di queste probabilmente una piccola percentuale non sarà possibile da realizzare. Ci sono persone a Oristano, Palermo e in Puglia, che forse non riuscirò a scattare. Però andrò sicuramente in Lombardia, Piemonte, Lazio, Umbria e Bologna. Diciamo più o meno 200, di cui l’80% sono donne. L’iniziativa è partita da Facebook ma poi si è allargata perché c’è stato il passaparola tra le persone.
Puoi rivelarci quali sono state le ‘ancore’ delle persone? Cos’hai scoperto?
La maggior parte sono i figli, i congiunti e gli animali domestici. Al terzo posto la cultura, i libri e la musica. A volte l’ancora è stata una persona persa, ma ho cercato di raccontare tutto con leggerezza. C’è stata solo una persona, una donna, che mi ha detto ‘mi sono salvata da sola, mi sono attaccata a me stessa’.
Interessante questa classifica, si capisce quali sono le cose davvero importanti nella vita di una persona
Non saranno foto drammatiche, c’è molta ironia. Le persone sono state spesso molto buffe, altre più malinconiche. C’è chi si è divertito e ha nostalgia del lockdown perché gli ha permesso di fare cose che non avrebbe potuto fare prima. Molti hanno partecipato al progetto perché volevano trovare il coraggio di mettersi davanti a una macchina fotografica e raccontare la loro storia, come per chiudere un periodo e fare il primo passo fuori. Queste ‘ancore’ sono quelle che hanno sempre, che li accompagnano costantemente nella loro vita, qualcuno l’ha scoperto davanti alla macchina fotografica. Molte persone mi hanno ringraziato, come se la foto stessa per loro fosse un’ancora, o meglio una vela, per ripartire.
Qual è stata la tua ancora?
Per me è stato cucinare perché era l’unica cosa che mi faceva stare ‘sano’. Tutto il resto era riempitivo, per far passare il tempo. La sera mi coccolavo, mi preparavo i manicaretti.
Cosa significa questo progetto per te?
Queste foto per me sono come delle canzoni, che ho scritto basandomi sulle storie degli altri. Non voglio che le storie siano troppo esplicite, voglio che se ne approprino gli altri e le facciano loro, se vogliono. Le foto avranno come titolo solo il nome del protagonista, senza collocazioni spazio-temporali. Ad ogni foto sarà associata una didascalia che non spiegherà esattamente cosa succede nello scatto. L’ancora non sarà rivelata, ma sarà un invito a scoprirla da parte dello spettatore. Uso una metafora musicale, una cosa buffa che ho pensato, il mio progetto vorrebbe essere una sintesi tra la poetica di Paolo Benvegnù e l’estetica degli Zen Circus.
Nel sito che hai creato www.storiediancore.it sono visibili alcune foto dal backstage. Ma le foto finali dove potremo vederle?
Lo deciderò a ottobre vorrei fare una mostra e forse anche un libro.