L’arte contemporanea si sposa con la storia naturale al Museo Marino Marini di Firenze, che per la sua riapertura punta tutto su una mostra unica, dove i reperti del Museo La Specola – al momento chiuso al pubblico – saranno ospitati all’interno della suggestiva cripta, dall’imponente squalo tigre di oltre 3 metri allo scheletro di un capodoglio di circa 10 metri, entrambi dell’Ottocento.
L’esposizione “Di Squali e di Balene” (visitabile dal 1° luglio fino al 30 settembre) vuole superare la dicotomia tra arte e scienza e sensibilizzare il pubblico sui mutamenti ambientali e sulle conseguenze che l’azione dell’uomo provoca sugli equilibri naturali, dall’estinzione delle specie animali alla diffusione drammatica di virus, come appena avvenuto con la pandemia.
“La collaborazione tra il Marino Marini e La Specola dimostra l’importanza e l’efficacia dell’approccio multidisciplinare nel campo dell’arte – sottolinea la presidente del Museo Marini Patrizia Asproni – il museo oggi non può essere più solo un luogo di conservazione ma deve svolgere il ruolo di propulsore di conoscenza, instaurando molteplici connessioni per stimolare la riflessione del pubblico e renderlo consapevole delle trasformazioni epocali del nostro tempo. L’ambiente, gli sconvolgimenti climatici, la salvaguardia del patrimonio sociale e culturale, sono tematiche fondamentali che devono esser affrontate dalle istituzioni museali, capaci di costruire una coscienza rinnovata proprio attraverso il potente linguaggio dell’arte.”
Lo squalo, al vertice della piramide alimentare marina, incarna le paure più ancestrali dell’uomo ma, allo stesso tempo in quanto animale in via di estinzione, esprime l’urgenza di un ripensamento del consumo del pianeta. La sua immagine – rappresentazione di vita e di morte, estinzione e salvezza – è profondamente contemporanea e, non a caso, è assurta a icona nell’opera dell’artista britannico Damien Hirst.
Le ossa della balena, presentate in maniera “illustrativa” sul pavimento della cripta, richiamano espressioni artistiche legate alla ricomposizione, in forme che superano l’idea stessa della disgregazione. La citazione è rivolta ad artisti, come Gino de Dominicis, capaci attraverso la trasformazione artistica di arrestare concettualmente l’irreversibilità del tempo.
“Squali e balene sono l’emblema della vita marina, giù tra gli abissi. Richiamano nell’immaginario collettivo i concetti di vita e di morte, potenza e vulnerabilità – sottolinea il curatore della mostra, Fausto Barbagli – queste due creature, con la loro silenziosa e imponente presenza nella solenne atmosfera della cripta del museo, ci invitano ad aprire la mente per indurci a riflessioni più ampie e a porci interrogativi sul presente e sul domani. Quello che stiamo costruendo, è davvero il futuro che vogliamo?”
Il progetto, che dà il via alla ripartenza del programma espositivo del museo, appena riaperto in seguito alla chiusura dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19, è accompagnato dalla rassegna “Frammenti marini”, a cura del critico teatrale Roberto Incerti, che con i suoi appuntamenti presenta una poetica e intensa lettura-interpretazione del rapporto uomo-natura e le sue conseguenze, proponendo dei brani tratti dal romanzo Moby Dick dello scrittore statunitense Herman Melville.