Sardegna, ultimo fine settimana di luglio. Siamo in piena stagione turistica, in un anno, il 2021, che ancora soffre le conseguenze economiche della pandemia. E la terra brucia. Lo fa per giorni, da quel dannato sabato 24, in tutta la provincia di Oristano. Il fuoco si prende vegetazione, alberi secolari, abitazioni, animali, ma soprattutto sacrifici di una vita e speranze per il futuro. A essere colpiti sono soprattutto i pastori, molto attivi in questa regione d’Italia, che vedono bruciare le proprie greggi davanti agli occhi, senza poter fare niente di concreto. Il loro dolore, però, non passa inosservato e la rete di solidarietà si attiva un po’ ovunque. Anche la Toscana, legata inevitabilmente alla Sardegna, contribuisce alla raccolta fondi per gli amici isolani: dalla Val di Cecina, in particolare, partono quintali di semi per rinverdire i pascoli e tornare a guardare al domani. Oggi quei prati sono di nuovo verdi e le pecore sono tornate a brucare.
In Sardegna la chiamano “sa paradura”, è la riparazione, la ripartenza, il mettere a disposizione qualcosa di sé per l’Altro che ne è stato privato. Si tratta di una pratica antichissima, che non lasciava (e non lascia) fuori nessuno: il pastore poteva aver affrontato un incendio, un furto, una grave malattia, un lutto, persino il carcere, ma in ogni caso gli allevatori avrebbero contributo alla sua ripresa, a non lasciarlo solo, consapevoli che la perdita di uno può trasformarsi nella perdita di tutti. Gabriella Sanna è una donna di origini sarde, vive a Pomarance, in provincia di Pisa. In quei giorni di luglio le torna in mente proprio di quando, da piccola, assistette a una particolare paradura fatta da suo padre, a favore di un gregge che era stato colpito da un fulmine. Lancia l’idea sui social e con qualche telefonata e la risposta è eccezionale: sardi che vivono da tempo in Toscana, agricoltori di zona, trasportatori, associazioni, comuni cittadini si accodano per far nascere e alimentare il Comitato di solidarietà tosco-sarda.
Un carico di speranza
In poche settimane raccolgono circa 10mila euro, ma più del doppio in materiali e prodotti: quasi 4000 metri di rete per ricostruire le recinzioni, una quarantina di rotoballe di fieno per affrontare l’inverno, circa 60 quintali di semi da prato per rinverdire i pascoli. Ognuno dà quel che può, “in un giorno di raccolta ci stupimmo nel veder arrivare al nostro banchetto un signore da un’altra città con 200 euro in mano”, racconta il consigliere del Comitato Graziano Pacini, “avevano fatto una colletta nel suo palazzo e lui si era preso l’impegno di farceli avere”. Non solo soldi, però, ma anche tempo e competenze: “c’è chi ha donato i semi, c’è chi ha speso ore al banchetto, chi ha organizzato raccolte parallele, ma anche concerti di beneficenza. Anche i trasportatori ci sono venuti in aiuto, abbiamo fatto accordi in particolare con un ragazzo di Venturina che si è offerto di guidare i suoi camion carichi di semi gratuitamente fino in Sardegna. Persino due note compagnie navali, la Grimaldi e la Sardinia Ferries, ci hanno dato una mano, offrendo il trasporto via mare tra agosto e settembre”. La destinazione? Tre dei comuni sardi più colpiti: Cuglieri, Sindia, Tresnuraghes. Ad accompagnare il ricco carico fino alle aie anche Gabriella Sanna, che commenta: “ho visto uomini adulti piangere lacrime vere, non lo dimenticherò mai”.
Sono di pochi giorni fa le prime fotografie che mostrano che quei terreni anneriti dal fuoco sono di nuovo verdi e le greggi pascolano di nuovo, proprio grazie ai semi toscani. E c’è una buona notizia in più: l’olivastro millenario di Cuglieri, sventrato dalle fiamme, è ancora vivo e probabilmente ce la farà, anche lui resiliente e determinato, come gli abitanti della sua terra.