Il telescopio spaziale James Webb ha sorpreso un antichissimo buco nero supermassiccio inattivo mai osservato nell’universo primordiale. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature da un team internazionale guidato dall’Università di Cambridge a cui partecipano anche ricercatori della Scuola Normale Superiore di Pisa, dell’Istituto nazionale di astrofisica e della Sapienza Università di Roma.
Il buco nero immortalato è uno degli oggetti più antichi e grandi mai rilevati: ha una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole e risale a meno di 800 milioni di anni dopo il Big Bang, l’epoca della reionizzazione, una fase cruciale nell’evoluzione dell’universo primordiale. Probabilmente rappresenta il primo di una intera popolazione di buchi neri “a riposo” ancora da osservare.
“Questa scoperta apre un nuovo capitolo nello studio dei buchi neri distanti”, spiega Stefano Carniani della Normale – Grazie alle potentissime immagini del telescopio James Webb si potrà “indagare le proprietà dei buchi neri dormienti, rimasti finora invisibili. Queste osservazioni offrono i pezzi mancanti per completare il puzzle della formazione e dell’evoluzione delle galassie nell’universo primordiale”.[/mark
Perché il buco nero è a riposo?
Le ricercatrici e i ricercatori hanno stabilito che il buco nero è “dormiente” perché, nonostante la sua dimensione colossale, sta accrescendo la materia circostante a un ritmo molto basso (100 volte inferiore) a differenza di quelli di massa simile osservati nella stessa epoca, i cosiddetti quasar, rendendolo praticamente inattivo.
“Comprendere la natura dei buchi neri è da sempre un argomento che affascina l’immaginario collettivo – commenta Rosa Valiante, ricercatrice dell’Inaf di Roma – sono oggetti apparentemente misteriosi che mettono alla prova famose teorie scientifiche come quelle di Einstein e Hawking. La necessità di osservare e capire i buchi neri, da quando si formano a quando diventano massicci fino a miliardi di volte il nostro Sole, spinge non solo la ricerca scientifica a progredire, ma anche l’avanzamento tecnologico”.
Gli scienziati ipotizzano che buchi neri simili siano molto più comuni di quanto si pensi, ma oggetti in un tale stato dormiente emettono pochissima luce, il che li rende particolarmente difficili da individuare, persino con strumenti estremamente avanzati come il telescopio spaziale Webb. La loro presenza verrebbe svelata dal bagliore di un disco di accrescimento che si forma intorno a loro. Con il JWST, telescopio delle agenzie spaziali americana (NASA), europea (ESA) e canadese (CSA) progettato per osservare oggetti estremamente poco luminosi e distanti, [mark]sarà possibile esplorare nuove frontiere nello studio delle prime strutture galattiche.
La scoperta rappresenta solo l’inizio di una nuova fase di indagine. Il JWST sarà ora utilizzato per individuare altri buchi neri dormienti simili, contribuendo a svelare nuovi misteri sull’evoluzione delle strutture cosmiche nell’universo primordiale.