“Write hard and clear about what hurts”: scrivi forte e chiaro di ciò che fa male, questo il consiglio di Hemingway a un giovane scrittore. Si può dire che Sandro Veronesi lo abbia seguito alla lettera nello scrivere ‘Il colibrì’ libro che gli ha valso la seconda vittoria dopo ‘Caos Calmo’ al Premio Strega il più importante concorso letterario italiano.
Lo scrittore pratese che sarà venerdì 28 agosto a Villa Bardini a Firenze all’interno del festival La città dei lettori, ha ambientato il suo ultimo romanzo tra Roma, Firenze e la costa toscana. Il protagonista Marco Carrera è un bambino che ‘rifiuta di crescere’ ma che una volta adulto, proprio come fa il piccolo uccellino impiega tutte le sue forze per rimanere fermo, saldo, un punto di riferimento per tutte le persone che lo circondano anche di fronte ad eventi tragici che farebbero vacillare qualsiasi essere umano.
Ecco la nostra intervista:
Come tantissimi altri italiani, prima di partire per le vacanze ho comprato il tuo libro. Senti il peso della responsabilità di essere letto da così tante persone?
Alla fine che male posso fare…se non gli piace lo mollano, è questione di aver buttato via 20 euro. Un libro se non è un capolavoro assoluto, non è così importante da sentirne la responsabilità. Avrei avuto più problemi se la gente non l’avesse letto, se fosse rimasto incompreso, poco letto. Alla fine poi non è una cosa che mi riguarda più di tanto, si scrive un libro per questo perchè la gente lo legga e poi dia il suo giudizio. Se continuano a leggerlo mi fa piacere ma non sento la responsabilità. Nessuno è obbligato. Io ho studiato architettura e ho sempre pensato che se avessi fatto un edificio brutto tutti lo avrebbero visto, non solo quelli che ci fossero disgraziatamente andati ad abitare. In quel caso sentivo la responsabilità di fare bene una cosa che aveva un impatto su tutti. Nel caso di un libro l’impatto è personale e volontario.
Il protagonista del tuo libro ‘Il Colibrì’ è un uomo che cerca di rimanere ‘fermo’ mentre intorno a lui tutto crolla. Mentre lo leggevo ho anche pensato che sei stato un po’ sadico, perchè gli capitano le esperienze più brutte che possano succedere in una vita umana, compresa la morte delle persone che ama. In fondo è un libro che parla di come si affronta il dolore
Gli capita più o meno quello che capita nella vita di tutti. I divorzi, la morte dei genitori sono cose dolorose ma abbastanza comuni. Prima o poi tocca a tutti, a nessuno viene risparmiato il dolore. Quindi sì, è un libro che parla di come una persona normale può fare per affrontare il dolore, viverlo e vincerlo senza farsi travolgere, annientare.
La nostra società che ha il mito della bellezza, dell’eterna giovinezza…non ti pare che rifiuti e eviti di parlare del dolore, di affrontarlo? Si cerca di non pensare a esperienze come la morte che però fanno parte della nostra vita
Sì, sono molti anni che studio il rapporto delle persone con il dolore ed è vero che la nostra società lo demonizza, lo rende quasi indicibile, osceno. Il dolore viene anche ritualizzato con dei processi di mortificazione. La nostra maniera di elaborare il lutto per esempio è molto faticosa, molto lenta, non viene concepito reagire in maniera vitale a una perdita. Chi lo fa viene visto come una persona un po’ strana, quasi irrispettosa. Io credo che sia un percorso distorto perchè nelle nostre origini abbiamo una civiltà che invece aveva il culto dei morti, anche della sofferenza. Abbiamo perso di vista una delle caratteristiche specifiche dello stare al mondo che è tra le varie cose anche il soffrire.
Abbiamo perso di vista una delle caratteristiche specifiche dello stare al mondo che è tra le altre cose anche il soffrire.
La storia d’amore più importante che ha il protagonista è quella con Luisa. Una storia che però non si concretizza mai davvero in una storia reale, quotidiana. Tu pensi che le storie d’amore più grandi siano proprio quelle irraggiungibili, che non riusciamo mai a realizzare, che restano delle eterne promesse?
É vero che resta un amore impossibile, collegato solo da delle lettere che i due protagonisti si mandano per tanti anni. Ma in fondo la loro è una scelta, vissuta come una scelta obbligata, ma in realtà non c’è niente che impedisca a queste due persone di viverla. É un modo di non consumare l’amore, una scelta anche un po’ vile. A un certo punto come narratore esprimo un commento su di loro, parlando del ‘voto di castità’ che fanno, mi permetto di dire ‘i due deficienti’, perchè in realtà avrebbero spalancata una via per stare insieme, invece decidono di vivere in quel modo. Non è una cosa così rara, ma è un riflesso dovuto alla paura che un rapporto nel crescere e nello svilupparsi possa corrompersi. Quindi l’idealizzazione dell’altro passa attraverso la distanza.
La nipotina del protagonista si chiama ‘Miraijin’ un nome che significa “l’uomo del futuro”, è una provocazione la tua, l’uomo del futuro in realtà è una donna
Penso che la vera svolta se e quando ci sarà sarà proprio quella: vedere la donna come l’uomo nuovo , perchè nella nostra civiltà la donna è un satellite, non le hanno permesso di essere il centro gravitazionale della nostra civiltà, è sempre stata messa al margine. Questa è la vera rivoluzione che potrebbe cambiare le cose e migliorare il mondo. Certo non è solo così, io credo che tutti quelli che mettono al mondo un bambino o una bambina mettono al mondo il potenziale ‘uomo del futuro’, quello che può cambiare le cose. Bisogna che loro in fretta riescano ad affrancarsi dall’educazione che gli viene data per dedicarsi a un’idea di collettività che superi in maniera vistosa e sostanziale il concetto stretto di famiglia in cui c’è un patriarca, qualcuno che ha sempre l’ultima parola. É questo il tipo di liberazione di cui si gioverebbero molto le donne se non subissero le gerarchie imposte loro. Infatti Miraijin nasce senza un padre e ha un rapporto con i propri congiunti molto diverso da quello della famiglia tradizionale che secondo me è responsabile delle situazioni che si vengono a creare di involuzione, sopraffazione e prevaricazione. Parte tutto da lì, da quel modello di famiglia patriarcale che va superato. É un’utopia ma tante utopie si sono realizzate nel corso dei secoli.
Per ‘Caos Calmo’ l’altro libro per cui hai vinto il Premio Strega è stato realizzato anche un film che ha avuto molto successo. Ti sei immaginato quale attore potrebbe impersonare Marco Carrera ‘Il colibrì’ sul grande schermo?
Nelle trasposizioni cinematografiche dei miei libri io non ci metto bocca. É un consiglio che ho avuto la fortuna di ricevere direttamente da Alberto Moravia, che ho potuto conoscere e frequentare gli ultimi anni prima della sua morte. Lui mi disse che non bisogna immischiarsi nei progetti di film tratti dai propri libri. Quando me lo disse io avevo scritto un romanzo solo e nessuno voleva farci un film. Da allora è successo che alcuni miei libri sono stati portati al cinema. Ma io ho sempre seguito il consiglio di Moravia e me ne sono sempre tenuto alla larga. Io non mi immagino nulla, è un altro linguaggio e non spetta a me ma al regista, al produttore e agli attori parlare quel linguaggio. Certo, io sono curioso di vedere il film, chi farà Marco Carrera o Luisa, ma è solo una curiosità. Autonomamente non ho sviluppato nessuna preferenza, non voglio entrare in un processo che non mi deve vedere tra i protagonisti. Io pensando a Marco Carrera mi sono immaginato una persona reale, con cui andare a cena, che mi piacerebbe avere come amico, senza farlo ‘impersonare’ da nessuno, cercando di farlo esistere nella mia fantasia.
L’estate volge al termine, ci puoi confessare cos’hai letto? Quali libri ti sei portato al mare?
Ho letto ‘Paese d’ombre’ di Giuseppe Dessì perchè mi è stato regalato a un festival in Sardegna, l’ho letto con molto piacere, è un bellissimo libro. Adesso sto leggendo ‘Steve Jobs non abita più qui’ di Michele Masneri pubblicato da Adelphi. Ma in realtà non è che l’estate per me sia periodo di letture, per me è più l’inverno, perchè per me leggere è lavorare. Quando vado in vacanza paradossalmente leggo meno.
Viviamo un po’ in una bolla nell’attesa di sapere cosa succederà il prossimo autunno-inverno, a causa del Covid. Non è un periodo facile anche se siamo in vacanza. Tu come lo affronti?
Prendo ispirazione proprio dal Colibrì, dalla perseveranza di questo uccellino che anche se è strapazzato dalle esperienze, anche se viene travolto da una semplice folata di vento, poi ricomincia subito a fare quello che ha sempre fatto, senza farsi annientare, strappare dalla propria identità. Io penso che bisogna fare questo, bisogna accettare le cose come sono. Accettare le regole e le restrizioni anche se non le capiamo, perchè se riusciamo ad essere tutti compatti il danno viene limitato molto. Il danno si crea se ognuno fa come gli pare. Anche se non sappiamo nulla di questo virus dobbiamo cercare di seguire le regole. Se ognuno prende decisioni con la sua testa e fa come gli pare sicuramente siamo più fragili. Si tratta solo di un virus, una forma arcaica di essere vivente, farsi spazzare via da lui tutto sommato sarebbe un po’ da sciocchi.