La Pietà Bandini è una delle opere scultoree più importanti e una delle ultime portate a termine da Michelangelo. Oggi si trova nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze ed è oggetto di un restauro, il primo nella storia, iniziato lo scorso novembre e interrotto a causa del Covid-19. Adesso i restauratori sono tornati al lavoro e per la prima volta, da lunedì 21 settembre, sarà possibile accedere al cantiere di restauro grazie a delle speciali visite guidate riservate al massimo per cinque persone alla volta con i restauratori e gli esperti dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Il restauro è finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, è stato affidato a Paola Rosa – che ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso – coadiuvata da un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera, tra cui Annamaria Giusti già direttrice del settore dei materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure.
Nella Pietà Bandini l’autoritratto di Michelangelo
Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa, quando Michelangelo era alla soglia di suoi 80 anni, la Pietà Bandini o dell’Opera del Duomo è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due – quella giovanile vaticana e la successiva Rondanini – il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto. Michelangelo non solo non la termina, ma tenta di distruggerla in un momento di sconforto.
Cosa si è scoperto durante il restauro
La prima pulitura della superficie, finita sul retro del gruppo scultoreo e in fase iniziale sul davanti, sta riportando alla luce le cromie frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti della Pietà di Michelangelo – dai segni di lavorazione realizzati con strumenti diversi, alle impronte dei tasselli del calco ottocentesco – alle tracce di interventi precedenti – nascosti sotto uno spesso strato di depositi di polvere misto a cere, accumulate e modificate in oltre 470 anni di vita dell’opera. Le indagini diagnostiche, eseguite all’inizio dell’intervento e in corso per approfondire nuovi elementi portati alla luce, hanno fornito informazioni fondamentali per la conoscenza dell’opera e per il suo restauro: della Pietà di Michelangelo non sono presenti patine storiche, ad eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura, ancora in fase di accertamento. Confermata, invece, la presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco ottocentesco e non conseguenza dell’alterazione del marmo per solfatazione.