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Il Rap in carcere per ‘invertire il flusso’ della criminalità: l’esperienza di Cat Cooperativa Sociale

Daniele Bertusi di Cat Cooperativa Sociale ci racconta la sua esperienza dei laboratori di rap negli istituti penitenziari, una realtà attiva da 14 anni a Firenze

Cat Cooperativa Sociale

Cat Cooperativa Sociale è una realtà operativa a Firenze dal’85 che dalla fine degli anni ’90 ha lavorato con la musica con i ragazzi di strada nei centri giovani come nello Spazio giovani delle Cure.

Nel 2007 è nato il primo progetto all’Istituto penale per minorenni Meucci di Firenze e grazie al Sert è iniziata una sperimentazione che poi è diventata un laboratorio stabile che va avanti da 14 anni. La Regione ha deciso di finanziare il progetto in maniera stabile inserendolo nel progetto più vasto del “Teatro in carcere” che interessa tutta la Toscana.

Dal 2014 il laboratorio di rap si è esteso anche al Carcere Gozzini di Firenze (Solliccianino) e dal 2016 il progetto si è allargato prendendo in gestione anche il Centro giovani la “Sala Gialla” in via Felice Fontana sempre a Firenze. Quindi è diventato un progetto territoriale con tre punti di lavoro da cui sono usciti anche giovani che hanno proseguito la loro esperienza musicale anche fuori dal carcere come Nick Fondo seguito dal rapper Charlie Dakilo.

Ecco la nostra intervista a Daniele Bertusi

Ciao Daniele perchè avete scelto il rap per lavorare con i ragazzi e non un altro genere musicale come il pop, il rock?

Lavoriamo con il rap perchè è uno strumento educativo che ha il vantaggio di dare la possibilità di far uscire fuori dal carcere le voci dei ragazzi che altrimenti non uscirebbero. I ragazzi possono raccontare la loro storia, i loro problemi e desideri e comunicare in qualche modo col mondo esterno.
Inoltre la musica rap è molto attrattiva, è molto semplice lavorare con i ragazzi su questo perchè andiamo noi verso di loro e non il contrario. E’ il loro mondo, la loro musica, il loro stile, siamo noi che ci adeguiamo. E’ una musica parlata quindi ci permette di aiutarli a tirare fuori quello che hanno dentro in un processo ‘maieutico’. Ed è molto semplice da usare, di facile approccio. Ha una bassissima soglia di accesso non ha bisogno cioè di pre-condizioni come studiare uno strumento. Per fare rock devi conoscere gli accordi, per fare rap non ti serve niente, neanche essere intonato, è un’attività naturale per i ragazzi.

Come funzionano in pratica i laboratori di Rap in carcere?

I laboratori vedono una fase di studio e formazione musicale in cui facciamo ascoltare dei pezzi ai ragazzi, notare l’uso di rime, assonanze, il ritmo e gli facciamo capire come funziona. Noi insegnamo ai ragazzi che devono riuscire ad organizzare il loro pensieri in uno schema fisso. Noi forniamo uno strumento espressivo con delle regole precise che loro devono seguire, questo è molto importante. La struttura della canzone deve avere la metrica, le rime, un certo numero di battute, bisogna andare a tempo, tenere il ritmo. Non è difficile come scrivere un sonetto ma comunque richiede impegno.

Il laboratorio ha anche altre regole, di solito è frequentato da 5 -6 ragazzi che devono avere la capacità di aspettare il loro turno, ascoltare gli altri, interagire, quindi dare consigli ma anche stare in silenzio mentre gli altri registrano. Questo non è sempre facile, riuscire a gestirsi in un’attività che si deve approcciare uno per volta vuol dire che si ha la capacità di aspettare e rispettare lo spazio degli altri. Se non si rispettano queste regole non ci si diverte, è un circolo virtuoso.

Charlie Dakilo con Nik Fondo

Alcuni rapper famosi giocano sull’essere dei personaggi da film, degli irregolari, dei ribelli, gente della ‘malavita’ diciamo, come vi ponete voi su questo?

Invertiamo il flusso, nel senso che molti artisti e cantanti rap hanno questa impostazione. C’è il mito dei soldi, delle ragazze facili, dei gioielli, dei macchinoni, delle droghe eccetera. Noi partiamo da ragazzi che già vivono quella vita e attraverso la musica li aiutiamo a rielaborarla. Quando tiri fuori qualcosa che hai dentro e lo metti su un foglio, lo scrivi, ce l’hai davanti e lo “vedi”, l’operatore davanti a te ti aiuta a ragionarci sopra. Noi abbiamo esperienze di ragazzi che sono partiti scrivendo canzoni sataniche. Spesso l’esaltazione della vita di strada, della vita criminale, anche della criminalità organizzata come la mafia e la camorra sono entrate nei testi che i ragazzi hanno scritto.

Se un ragazzo di 14 anni si trova a spacciare o fare una rapina la responsabilità della sua carcerazione è una responsabilità collettiva, non individuale

Durante i laboratori piano, piano dopo uno sfogo iniziale, si può andare a vanti e ragionare su altre cose. Alla fine vengono fuori anche canzoni sulla mamma, sui figli, la domanda su cosa fare dopo. I ragazzi si chiedono perchè sono finiti in prigione. A un certo punto si rendono conto che hanno fatto delle scelte che li hanno portati in carcere e possono riflettere sulle loro prossime decisioni, sul fatto che le loro vite possono cambiare. Il lavoro degli operatori è farli riflettere sulle conseguenze delle loro azioni.

Nella vita di questi giovani c’è qualcosa che è mancato, forse voi cercate di ripristinare questo ‘qualcosa’

Se un ragazzo di 14 anni si trova a fare una rapina o a spacciare e si ritrova nel carcere minorile la colpa non è sua ma della società. Sono mancati i riferimenti basilari educativi come la scuola o i genitori. La responsabilità di quella carcerazione è una responsabilità collettiva non individuale. Non possiamo dire che un ragazzino di 13 anni fa le sue scelta consapevolmente, è l’ambiente in cui è cresciuto che l’ha portato a fare quelle cose. Questo per me è importantissimo, stiamo parlando di ragazzi non voglio dire predestinati ma diciamo facilitati ad andare in quella direzione e questo in una società moderna non deve esistere.

 

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