“Siamo fortissimi se lo vogliamo. Non lasciatevi andare mai”. E lei fortissima lo è stata. Liliana Segre non si è lasciata morire, amava la vita, ha combattuto con tutte le sue forze per essa, e ai ragazzi dice: “Scegliete la vita. Attaccatevi alla vita” .
Non un messaggio ma un appello alle nuove generazioni quello della senatrice, deportata da piccola nel campo di concentramento di Auschwitz. Lì ha conosciuto l’umiliazione, la sofferenza, il dolore. Il dolore di perdere di nuovo qualcuno, lei che aveva già perso la mamma, il dolore di sperare che non toccasse a lei, il sollievo per averla scampata insieme allo strazio per un’altra vita che invece veniva spezzata.
Un tormento che è soprattutto attaccamento alla vita, legato indissolubilmente a quel senso di condivisione ed empatia verso coloro con cui condivideva stenti e maltrattamenti senza averne colpa, individui spogliati di ogni appartenenza, di ogni diritto, che non potevano fare altro che tenersi stretto il loro essere uomini e donne, per restare uomini. . L’umanità era l’unica cosa che i nazisti non potevano togliere loro. Solo la morte può.
Oggi Liliana Segre ha parlato in pubblico per l’ultima volta. Lo ha fatto a La Rondine città della Pace, qui dove ragazzi che provengono da Paesi in conflitto l’uno con l’altro crescono e vengono educati a prendersi cura gli uni degli altri, fra di loro si chiamano “nemici-amici”.
Proviamo a pensare a quanto sia potente questa idea: bambini e ragazzi che il mondo ha deciso di far vivere come nemici per motivi che loro ignorano, decidono invece, coscientemente, individualmente, umanamente di essere amici. Con coraggio scelgono la vita. È forse questo il vero senso del messaggio di Liliana, una donna che non dimentica, non può dimenticare il male che il nazismo le ha fatto, sul corpo, nella mente e nell’anima, non dimentica e non perdona e lo dice con forza e con coraggio. Perché la coscienza si costruisce sulla storia, sulla memoria. Sulla propria pelle.
Liliana Segre non dimentica il nazismo ma il suo non è rancore. Il rancore è un’altra cosa. Chi prova rancore non va avanti. Lei lo ha fatto, ne è una prova tangibile l’ encomiabile impegno a favore dei giovani, il suo sforzo a ricordare con minuzia di particolari i gesti, i dettagli dei luoghi, le sensazioni di quei giorni nel Lager e, prima, lo sguardo del padre costretto a dirle, a lei figlia amata soli 8 anni, che non sarebbe più potuta andare a scuola perché ebrea. Ricordi vividi che la senatrice riporta non per rabbia ma perché chi ascolta capisca, prenda coscienza.
Liliana Segre non dimentica il nazismo perché se lo facesse sarebbe come se lo avesse accettato .
Senza conoscere il nostro passato non possiamo scegliere chi essere in futuro
Novant’anni che sembrano venti per la chiarezza e le fermezza con cui scandisce ogni singola parola, Liliana Segre, questa signora così garbata, elegante, che il tempo dovrebbe farci la grazia di non portarci mai via, ai ragazzi chiede di avere quello stesso coraggio, coraggio di non rassegnarsi di fronte alle barbarie del mondo.
Forse proprio in questo sta la sua grande lezione per i più giovani: non siate indifferenti, indignatevi se un vostro compagno subisce angherie, cercate di capire cosa accade intorno a voi, siate curiosi. Se lascerete correre, se penserete che non vi riguarda solo perché non vi tocca in prima persona, non potrete provare cosa significa essere uomini e donne fino in fondo.
Oggi di fronte ad una platea incantata, alla presenza delle istituzioni che però non hanno voluto adombrare con la loro presenza il senso della giornata ( “Oggi sono qui per ascoltare, non per parlare” ha detto il presidente del Consiglio Conte quasi imbarazzato dal dover togliere tempo con il suo al discorso più atteso, dando prova di grande umiltà e dignità), la senatrice ha raccontato di quando, fuori dalla prigione dove era stata portata con il padre e altri italiani ebrei, trovò l’umanità tra gli ultimi, tra i detenuti.
I detenuti del carcere manifestarono a lei e alle persone che erano con lei tutta la loro vicinanza, disperandosi per loro, vittime innocenti accusate senza aver commesso alcun crimine. I carcerati provarono empatia, provarono pietà per Liliana. E Liliana oggi li ha ricordati così: “Erano uomini, a prescindere dalla loro condizione di carcerati, erano uomini”.
Diventare adulti e adulte è facile, basta non morire, diventare uomini e donne libere è un’altra cosa. È una questione di scelte:
“Ho scelto la vita e sono diventata libera”, Liliana Segre
#GrazieLiliana