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© Matilde Piazzi

Musica /

Quando il Polo Sud fiorisce: il suono del futuro che brucia nel sax di Laura Agnusdei

Venerdì 18 aprile la compositrice e sassofonista bolognese Laura Agnusdei sarà in concerto al Circolo Arci Il Progresso di Firenze per presentare il suo ultimo disco “Flowers Are Blooming in Antarctica”

Come sarà la musica del futuro? Ce lo racconta Laura Agnusdei che imbraccia il sax come Ellen Ripley il fucile nella saga di Alien, nel suo ultimo disco da poco pubblicato “Flowers are blooming in Antarctica” uscito per l’etichetta Maple Death Records.

Un disco che attinge al vasto mondo della fantascienza da Philip Dick a J.G.Ballard, partendo dal Codex Serafinianus, per immaginare cosa accadrà agli esseri umani tra cambiamento climatico e eco-conflitti.

Il sassofono diventa così la voce del domani che ci attende creando una vivida colonna sonora tra exotica, minimalismo, tropicalismo elettronico, futurismo tribale ed eleganza contemporanea.

La musica di Laura Agnusdei è un jazz alieno del futuro che racconta di fiori nel ghiaccio, una distopia gentile che vuole descrivere l’Antartide tropicale.

Ecco la nostra intervista a Laura Agnusdei

Ciao Laura, Flowers are blooming in Antarctica è un disco che vuole parlare del futuro che ci attende, soprattutto dal punto di vista del cambiamento climatico

Sì è così, ho scelto questa frase per il titolo del mio disco perché mi sembrava un’immagine poetica molto forte che racchiude la fine e l’inizio. C’è questa idea di fioritura, un’immagine di qualcosa che sboccia, ma allo stesso tempo è un’immagine catastrofica.

la musica fatta con le nuove tecnologie digitali è molto incentrata sul brivido di sentire suoni nuovi, cose che non si sono mai sentite prima, il sax nell’ambito degli strumenti acustici tradizionali offre questa possibilità

Sappiamo che sta già avvenendo, i fiori sbocciano al Polo Sud

In realtà se vogliamo essere precisi i fiori lì sono sempre esistiti, ma ovviamente con l’innalzamento delel temperature sono più presenti specie floreali che prima erano l’eccezione. È un simbolo, mi sembrava un’immagine molto evocativa.

Per questo disco ti sei ispirata a un immaginario fantascientifico, tra l’altro mi sono ricordata che nella celebre scena finale con la pioggia di Blade Runner è presente un inconfondibile sax, grazie alla colona sonora firmata da Vangelis

Il concept che ci sta dietro è un po’ immaginare la musica del 2087, il primo spunto è che la mia musica ha sempre avuto delle componenti della così detta “post-exotica”, che porta delle suggestioni da culture altre, non in maniera filologica, ma immaginifica, provenienti da un “altrove”. L’exotica storicamente è anche una musica controversa perché si lega a un punto di vista occidentale su quello che Occidente non è. Mi è venuta questa idea che con il riscaldamento globale noi stessi stiamo diventando quel paese tropicale che un tempo percepivamo come Altrove. Così è nato tutto un po’ per scherzo, ma poi mi è sembrato tutto sempre più interessante e mi sono chiesta: come sarà la musica dettata da questo cambio di clima e paesaggio intorno a noi? In questo senso la mia musica è fantascientifica, perché vuole parlare del presente guardando al futuro.

Le tue radici musicali sono particolari, non ti definisci una sassofonista jazz, che è curioso perché il sassofono spesso viene associato proprio a questo genere

Il sax è uno strumento molto trasversale, in realtà viene identificato con quel mondo perché è stato adottato dalla cultura afro-americana, è un po’ la voce centrale di molti generi tra cui appunto il jazz. Però in realtà se noi andiamo a ben vedere è uno strumento che nasce in Europa e che troviamo in tantissimi generi diversi. Io ho studiato sax classico, una scuola che si è sviluppata principalmente in Francia. Faccio fatica a definirmi jazzista perché non è il linguaggio con cui mi sono formata. Avendo studiato ambienti più legati alla musica elettronica, il jazz non è l’ambiente musicale in cui sono cresciuta e in cui mi esibisco. Però contemporaneamente nei miei ascolti c’è tanta black music e musica afroamericana, quindi penso che specialmente in questo ultimo lavoro questo aspetto sia venuto fuori. Il termine “Jazz” poi è un termine onnivoro che può voler dire tante cose.

Laura Agnusdei – © Matilde Piazzi

Come mai hai iniziato a suonare il sassofono? Cosa ti affascinava di questo strumento?

Di sicuro è uno strumento a fiato, l’ultimo di quelli inventati per un’orchestra sinfonica. Quindi diciamo che è un punto di arrivo tecnicamente dell’evoluzione ingegneristica dello strumento a fiato. Il suo timbro, la sua voce è molto flessibile e personalizzabile, per questo è molto utilizzato in tanta musica contemporanea classica e non che si basa sulla ricerca di suoni particolari, di timbri strani. Questo è quello che mi ha affascinato: è uno strumento molto espressivo in cui ogni sassofonista può veramente trovare il suo suono personale molto di più che in altri strumenti a fiato. Permette una grande espressione timbrica che ben si sposa con la sperimentazione elettronica. La musica fatta con le nuove tecnologie digitali è molto incentrata sul brivido di sentire suoni nuovi, cose che non si sono mai sentite prima, il sax nell’ambito degli strumenti acustici tradizionali offre questa possibilità.

si può scegliere di voler approfondire anche qualcosa di cui all’inizio non si conoscono i codici. È come imparare un linguaggio segreto

Quando componi da cosa parti di solito, dall’improvvisazione, da un’idea o da un suono specifico?

Dipende, le metodologie sono tante ed è sempre bello esplorarne di nuove. Per questo disco tendenzialmente non sono partita quasi mai dal sax. Sono partita dalla creazione di qualcosa su cui il sax può appoggiarsi come voce o elemento solista. In questo disco ho lavorato con Edoardo Grisogani, il percussionista che mi accompagna anche dal vivo, io gli fornivo dei campioni, dei suoni o uno spunto elettronico. Sulla sua base ritmica ho composto le parti dei fiati, oppure partivo da suoni elettronici. È difficile che parta da una melodia, creo prima il contesto e poi cerco la voce narrante.

In un’intervista hai detto che la tua musica è una “musica che va scelta” mi ha colpito molto questa frase, potrebbe essere la definizione della musica underground tout court

Sì, la trovo molto azzeccata, sicuramente essendo musica strumentale in una cultura come la nostra che è molto incentrata sul canto e sulla parola già questo crea una prima scrematura di ascoltatori. Un po’ è un’attitudine dell’ambiente in cui sono cresciuta, cercare mezzi di espressione che siano estremamente personali che però siano anche “controculturali” in opposizione alla musica che sentiamo alla radio e che pervade la nostra vita volenti o nolenti. In questo senso la scelta oltre che politica è anche dettata da una forte curiosità. La musica non mainstream se non si è un po’ curiosi e avventurosi difficilmente la si incontra sul proprio cammino. Però c’è anche un forte senso identitario, si può scegliere di voler approfondire anche qualcosa di cui all’inizio non si conoscono i codici. È come imparare un linguaggio segreto.

Ti faccio un ultima domanda chi è il bambino che sentiamo nella canzone “Are we dinos”?

È una registrazione che in realtà vede due bambini che si dividono la storia. Nasce in maniera del tutto casuale, nel 2020 lavoravo in un campo estivo sulla spiaggia e un giorno per gioco abbiamo fatto questa intervista. I dinosauri mi hanno sempre appassionato fin da piccola. Quando poi ho iniziato a comporre l’album e fantasticare su questo concept mi è tornata in mente questa registrazione e l’ho ricontestualizzata.

Comunque secondo loro noi non ci estingueremo, c’è ancora speranza…

Forse è l’ottimismo della volontà di cui abbiamo bisogno in questo momento.

I prossimi concerti di Laura Agnusdei

18 aprile Circolo Arci Il Progresso, Firenze
6 giugno Jazz is Dead, Torino
8 giugno Handmade Festival, Guastalla
10 giugno Ferrara sotto le stelle

Informazioni sull’evento:

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