Una moda ecosostenibile che ama l’ambiente e lotta contro gli sprechi. A partire dai tessuti usati, che invece di venire scartati possono essere rigenerati per dare vita a nuovi bellissimi vestiti. È questa l’idea da cui è partita Rifò, la startup di Prato fondata da Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi nel 2017, che in tre anni si è dimostrata una scommessa vinta. I prodotti Rifò, realizzati con tessuti riciclati, vanno bene sul mercato, l’azienda è cresciuta e ha ottenuto importanti riconoscimenti.
Il brand pratese infatti ha vinto il progetto Hubble per le startup, usufruendo così dell’acceleratore d’impresa di Nana Bianca, si è aggiudicato il terzo posto nel Premio Cambiamenti di Cna e il riconoscimento speciale per le imprese giovanili all’interno del Premio Innovazione Toscana.
Nel successo di Niccolò e Clarissa sembra riecheggiare l’antica tradizione dei cenciaioli pratesi, che riciclavano gli stracci: se allora il mestiere dello straccivendolo era una necessità, oggi dare una seconda vita ai tessuti è una scelta etica, ancora prima che economica.
Rifò lavora con la lana, il cotone e il cachemire ma non solo, ricicla anche il denim, il tessuto dei jeans, e lo scorso anno è stata la prima azienda al mondo a mettere in commercio un maglione fatto con un filato realizzato con il denim riciclato.
Per ogni capo si recuperano così 5 vecchi jeans, che altrimenti sarebbero finiti in discarica creando nuovi rifiuti: per dar vita a un singolo maglione Rifò usa solo 80 litri di acqua contro i 3mila litri che servirebbero per un maglioncino nuovo in cotone vergine.
Rifò è sostenibile non solo nella produzione ma anche nel packaging. Grazie alla collaborazione con la startup finlandese Repack infatti anche gli imballaggi dei prodotti vengono recuperati e non creano nuovi rifiuti.
Niccolò, come è nata la vostra avventura con Rifò?
Rifò nasce nel novembre del 2017 dopo una mia esperienza di lavoro in Vietnam dove ho realizzato con i miei occhi il problema della sovrapproduzione nel settore dell’abbigliamento. I brand del fast fashion producono molto di più di quello necessario consumando risorse naturali che potremmo invece risparmiare per altri utilizzi più importanti. Rifò è partita come startup con una campagna di crowdfunding dove abbiamo investito circa 8mila euro e adesso, dopo circa due anni di attività dovremmo superare quest’anno i 500mila euro di fatturato.
Come producete i vostri capi?
Li produciamo a Prato, nel nostro distretto tessile, utilizzando filati rigenerati ovvero che nascono riciclando vecchi vestiti o scarti industriali. La nostra produzione è realizzata da piccole aziende a conduzione familiare, che noi coordiniamo quotidianamente. Abbiamo principalmente 3 collezioni: una invernale in cachemere rigenerato, una estiva in cotone rigenerato da scarti tessili e una da mezza stagione in cotone rigenerato da vecchi jeans. La maglieria, maglie e accessori sia di cachemere che jeans sono i prodotti che vendiamo di più.
Il futuro della moda è la sostenibilità?
Sì non vedo altra scelta, siamo al termine di un periodo storico in cui c’è stato uno spreco enorme di risorse naturali e questo le persone lo stanno realizzando. Pensiamo che, come è già successo con il cibo, grazie al movimento “slow fashion” questa rivoluzione accadrà anche nel mondo della moda, premiando fibre naturali e una produzione etica locale.
La sovrapproduzione di indumenti è un problema per il pianeta?
Assolutamente perché ogni indumento ha un costo ambientale, ad esempio per produrre una T-shirt si consumano tanti litri di acqua che molto spesso sono sprecati: magari quella t-shirt non verrà proprio indossata oppure sarà utilizzata pochissime volte e poi gettata via.
È vero che non fate saldi, come mai?
Perché preferiamo evitare la sovrapproduzione di capi all’inizio, offrendo uno sconto quando produciamo un prodotto e vendendolo in modalità pre-ordine. Non vogliamo incentivare le persone a comprare più di quello di cui hanno bisogno, vorremmo che comprassero solo quello che è necessario.