Si chiama Tsunami la speranza toscana contro il Covid-19. Lo studio partito dall’Azienda ospedaliero-universitaria pisana sull’infusione di plasma da pazienti negativizzati è diventato infatti il capofila di una sperimentazione nazionale, autorizzata dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia italiana per il farmaco, che per la prima volta investigherà l’efficacia di questo tipo di cura, utilizzando anche un gruppo di controllo randomizzato.
A guidare la sperimentazione è il professor Francesco Menichetti, direttore dell’Unità operativa di malattie infettive dell’Aoup, che all’inizio di maggio ha iniziato a curare a Cisanello i malati di Coronavirus con il plasma delle persone guarite, che quindi avevano sviluppato gli anticorpi.
“Noi inizialmente abbiamo trattato con la plasmaterapia un solo paziente e altri quattro o cinque in uso compassionevole e poi ci siamo fermati proprio perché lo studio è diventato nazionale – spiega il professor Menichetti – Mantova e Pavia hanno trattato una cinquantina di pazienti in uno studio preliminare che ha dato ottimi risultati ma per confermarli serve una sperimentazione come la nostra.”
I risultati ottenuti in Lombardia infatti, sotto la guida del Policlinico San Matteo di Pavia con l’Asst di Mantova, mostrano una mortalità più che dimezzata, scesa da una media del 15% al 6%.
“Il plasma non può essere ancora considerato una efficace terapia salvavita finché non ci sarà la dimostrazione scientifica – sottolinea Menichetti – che può venire solo da uno studio così grande come il nostro, disegnato con un gruppo di controllo. A Tsunami hanno aderito una trentina di centri della Toscana, Lazio, Campania, Umbria e Marche, lo studio è stato approvato due giorni fa dal comitato etico dello Spallanzani e quindi tra qualche giorno partiremo, sempre se avremo abbastanza casi, perché fortunatamente l’epidemia è molto rallentata.”
Ma come funziona Tsunami? “È un protocollo multicentrico, tutti quelli che vogliono partecipare sul territorio nazionale possono aderire – spiega Menichetti – il plasma viene preparato da donatori convalescenti, guariti cioè da Covid-19, che abbiano due tamponi nasofaringei negativi a distanza di 24 ore l’uno dall’altro e un’età compresa tra i 18 e i 65 anni. Il plasma viene prelevato con una tecnica che si chiama plasmaferesi, che separa la parte corpuscolata, la parte cellulare del sangue, dalla parte liquida, appunto il plasma, che contiene gli anticorpi inclusi quelli nei guariti da Covid-19 che neutralizzano il Sars-Cov-2. La donazione viene frazionata in sacche di plasma da 200 ml e poi l’officina trasfusionale le qualifica come pulite, cioè libere da patogeni trasmissibili, e con un titolo antivirale, cioè anti Sars-Cov-2, di almeno 1:160.” Questo è un requisito importante perché significa che diluendo il siero 160 volte risulta ancora in grado di impedire al virus di aggredire le cellule: è il cosiddetto plasma iperimmune.
“A questo punto la sacca di plasma è pronta per essere trasfusa al paziente – continua Menichetti – sono previste da una a tre trasfusioni, effettuate in giorni successivi. Inoltre pur essendo uno studio che assegna in modo randomizzato, ovvero a caso, i pazienti al gruppo che riceve il plasma o al gruppo di controllo che non lo riceve anche chi è stato assegnato al gruppo di controllo, se non migliora o peggiora, può ricevere il plasma quindi c’è un meccanismo comunque di tutela e di salvataggio dei pazienti.”
Per quanto riguarda eventuali rischi connessi alla donazione, il professor Menichetti rassicura che “non c’è rischio di infezioni, perché il plasma viene ben depurato con una procedura di inattivazione molto importante. I rischi di reazione trasfusionale, se si rispettano la compatibilità dei gruppi sanguigni, sono modesti, sostanzialmente è una procedura sicura.”
In attesa del vaccino insomma la plasmaterapia è una speranza concreta e inoltre la base di partenza per la ricerca farmaceutica. “Dalla plasmaterapia possono derivare le gammaglobuline iperimmuni che l’industria farmaceutica spero possa produrre al più presto – spiega Menichetti – ci sono già vari ricercatori al lavoro, Rino Rappuoli di Gsk a Siena lavora sugli anticorpi monoclonali contro il Sars-Cov-2 e a Bergamo Mario Negri dice di essere in grado di separare le immunoglobuline anti Sars-Cov-2 dal plasma.”
Purtroppo non è ancora chiaro invece come funziona l’immunità da Covid-19. “Sappiamo che chi è infetto, asintomatico o sintomatico, sviluppa entro 2-3 settimane degli anticorpi della classe IgG e delle classe IgM ma non sappiamo se questi anticorpi siano realmente protettivi e non sappiamo quanto dureranno, quindi bisogna essere molto cauti – spiega Menichetti – è probabile che il Sars-Cov-2 come gli altri virus respiratori non dia un’immunità vita natural durante ma una che dura qualche mese, una stagione o massimo due anni. Non è come il morbillo che una volta preso non torna più.”
Mentre la scienza è al lavoro adesso l’evoluzione dell’epidemia dipenderà dai nostri comportamenti, che dovranno essere virtuosi per evitare la seconda ondata temuta anche dall’Oms. “Se saremo rigorosi e attenti in questa fase 2, che è rischiosa perché siamo ripartiti in presenza della circolazione del virus, continuerà tutto ad andare per il meglio – conclude Menichetti – ma se faremo qualche errore potremo trovarci nelle condizioni di dover riaffrontare l’emergenza.”