Un grande campione che ha segnato la storia del ciclismo italiano, vincendo tre Giri d’Italia e due Tour de France, ma anche un eroe che durante la Seconda Guerra Mondiale ha salvato la vita a circa 800 ebrei, trasportando nascosti nel sellino della sua bicicletta carte e documenti falsi con cui sono riusciti a fuggire ed evitare così la deportazione.
Per rendere omaggio a Gino Bartali il Comune di Bagno a Ripoli ha deciso di intitolargli una pista ciclabile a Ponte a Ema, il paese alle porte di Firenze dove il campione “nella vita e su due ruote” nacque nel 1914.
Bartali è un “Giusto tra le Nazioni”
La pista sarà inaugurata con una cerimonia il 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, riaffermando così l’impegno del ciclista dichiarato da Israele nel 2013 “Giusto tra le Nazioni”, il riconoscimento assegnato a chiunque durante la Shoah abbia salvato la vita anche a un solo ebreo.
“Il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” a Bartali – spiega il sindaco di Bagno a Ripoli Francesco Casini – è basato su testimonianze e documenti che sono stati ritenuti solidi dallo Yad Vashem, l’organismo che ha la principale competenza in materia. La storia, certo, può avere talvolta molte sfumature, ma per quanto riguarda la figura e l’eredità di Gino Bartali, Bagno a Ripoli non ha dubbi. Per noi è e resterà sempre un esempio da seguire, per il coraggio e l’umanità, vissuti con burbera ma affettuosa riservatezza. Da qui il nostro omaggio, nel Giorno della Memoria, a un uomo che fu campione due volte, sui pedali e nella vita”.
Quei documenti falsi nascosti nel sellino della bicicletta
La storia dell’impegno di Bartali per aiutare gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale sembra uscita da un romanzo.
Il campione entra a far parte della rete fiorentina che cerca di salvare la comunità ebraica della città dopo l’8 settembre, durante l’occupazione tedesca di Firenze.
A chiedere l’aiuto di Bartali è l’arcivescovo Elia Della Costa, suo padre spirituale che ha anche celebrato il matrimonio del campione con Adriana Bani nel 1940. Della Costa, insieme a molti sacerdoti e religiosi fiorentini, nasconde gli ebrei nei conventi e negli istituti religiosi ma ha bisogno di Bartali per un compito delicatissimo: trasportare i documenti falsi realizzati appositamente per le famiglie ebree, che così possono evitare la deportazione nei lager.
Lui può riuscirci perché essendo un famoso campione, conosciuto e rispettato da tutti, può andare in giro sulla sua bicicletta senza venire fermato. Proprio lì dentro, nascoste sotto il sellino, Bartali trasporta le fotografie degli ebrei rifugiati non solo a Firenze ma in tutta la Toscana fino ad Assisi, dove il frate francescano Rufino Niccacci gestisce un laboratorio di contraffazione di documenti.
Il coraggio di un eroe silenzioso
Il suo coraggio viene messo alla prova proprio negli ultimi terribili mesi del conflitto: nel luglio del 1944 infatti il fascista Mario Carità convoca Bartali per un interrogatorio a Villa Trieste. È una lettera del papa, intercettata dai fascisti, ad averlo messo nei guai: il Santo Padre infatti nella sua missiva ringrazia il campione per il suo aiuto, riferendosi ovviamente alla rete clandestina di documenti, e Carità vuole sapere perché lo stanno ringraziando.
Bartali se la cava dicendo di aver mandato dei pacchi di viveri in Vaticano e certamente anche grazie alla sua notorietà come ciclista viene lasciato in pace.
Bartali non parlerà mai dei suoi atti eroici se non al figlio Andrea. Muore a Firenze nel 2000 e il suo contributo verrà riconosciuto postumo: oltre al titolo di “Giusto tra le Nazioni” nel 2015 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegna a sua moglie Adriana la Medaglia d’oro al valor civile.