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Pisa: uno studio rivela gli agenti del morbo “mucca pazza” nel tumore al pancreas

La ricerca dell’Azienda ospedaliero universitaria pisana ha individuato per la prima volta gli agenti del morbo di Creutzfeldt-Jakob nel cancro al pancreas

Ricercatore al lavoro

Individuati a Pisa per la prima volta gli agenti del morbo della mucca pazza nel tumore al pancreas.  Un recente studio effettuato
dall’Azienda ospedaliero universitaria pisana, in collaborazione con l’Università di Pisa e l’Irccs Neuromed di Pozzilli, sotto la responsabilità di Luca Morelli e Francesco Fornai, ha dimostrato per la prima volta in letteratura la presenza di prioni, gli agenti responsabili del morbo di Creutzfeldt-Jakob (il cosiddetto morbo della mucca pazza), nei tumori del pancreas asportati chirurgicamente, documentando anche un possibile ruolo nella loro genesi e nella loro aggressività biologica.

Lo studio dell’Azienda ospedaliero universitaria pisana

Lo studio appena pubblicato sulla rivista Pancreatology, spiegano dall’Aoup, presenta per la prima volta i risultati preliminari di
un’indagine condotta in vivo, su tessuto tumorale prelevato durante interventi chirurgici di resezione pancreatica effettuati nella Sezione dipartimentale di Chirurgia generale.

I risultati confermano non solo una significativa maggiore concentrazione di proteina prionica nel tessuto tumorale, rispetto al tessuto sano, ma anche una più elevata espressione nei tessuti dei pazienti con stadio più avanzato, nonché una maggior tendenza alla presenza di infiltrazione perineurale, rilevando quindi una correlazione con una maggior aggressività biologica.

Nuove frontiere terapeutiche

I risultati, anche se preliminari, osserva l’Aoup, sono estremamente interessanti poiché rappresentano una novità nel panorama scientifico sulla comprensione della biologia di un tumore così aggressivo, con possibili implicazioni anche sul piano clinico.

La proteina prionica sembrerebbe infatti rappresentare per il tumore del pancreas un marker biologico di aggressività e potrebbe essere utilizzata sia dal punto di vista diagnostico sia prognostico ma anche terapeutico, valutando se ad esempio l’uso di specifici agenti che ne riducano la concentrazione, alterandone il metabolismo, si associ a una minore crescita tumorale e a una minore resistenza ai farmaci chemioterapici.

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