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Perchè Dante fu esiliato da Firenze? L’avvocato Alessandro Traversi vuole rifare il processo

Il 21 maggio a Firenze storici, avvocati, giuristi e studiosi cercheranno di capire se Dante Alighieri era davvero responsabile delle accuse che gli vennero rivolte o se si trattò di un processo politico

“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” con queste amare parole nella Divina Commedia Dante Alighieri descrive il suo esilio da Firenze iniziato nel 1302 quando, mentre il poeta si trovava a Roma lontano dalla sua città, il Podestà di Firenze lo cacciò impedendogli per sempre di tornare a casa. Un evento che lo segnò in maniera indelebile e che ebbe il suo riflesso anche nella Commedia da lui scritta tutta proprio durante l’esilio.

A distanza di sette secoli, in occasione del settecentenario dalla morte del Sommo Poeta l’avvocato Alessandro Traversi penalista nel Foro di Firenze ha deciso di riaprire il caso e rimetterà “in scena” il 21 maggio all’Educandato della Santissima Annunziata a Poggio Imperiale a Firenze, il processo a Dante Alighieri. L’obiettivo dell’evento è capire se all’origine delle tre condanne subite dal poeta ci fossero motivi reali o piuttosto fosse un tentativo di eliminare un avversario politico. Insomma in altri termini: chi ha incastrato Dante Alighieri?

Nella sua relazione l’avvocato Traversi, che insegna anche Diritto processuale penale nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Firenze, presenterà una serie di elementi per valutare la possibilità di una revisione del processo a Dante.

Ecco la nostra intervista

Avvocato Traversi, mi risulta che Dante fu condannato ben tre volte, è corretto?

Ci fu un processo con due sentenze nello stesso anno il 1302 e poi un’altra sentenza diversi anni dopo nel 1325. Per le prime due il giudice era il Podestà di Firenze, non c’era cioè la divisione dei poteri all’epoca, era Cante Gabrielli da Gubbio. Nel convegno noi avremo un discendente del giudice che a suo tempo condannò Dante. Di contro per animare l’evento abbiamo anche Sperello di Serego Alighieri che a sua volta è discendente del poeta. Uno cercherà di difendere l’operato del giudice e Sperello invece sarà dalla parte di chi sostiene che queste sentenze probabilmente sono state animate dal desiderio di strumentalizzare la giustizia per eliminare un avversario politico.

Qual era la situazione politica all’epoca in cui visse Dante Alighieri?

A Firenze nel 1300 c’erano due partiti contrapposti i Guelfi e i Ghibellini. Firenze però è una città che è sempre stata caratterizzata da vicende molto animate, controverse di carattere politico, a sua volta i Guelfi erano divisi in due parti contrapposte: i Guelfi bianchi e i Guelfi neri. I Guelfi neri parteggiavano per il papa Bonifacio VIII, il papa cioè attraverso il partito Guelfo nero cercava di indirizzare le decisioni politiche nell’ambito fiorentino pur essendo Firenze al di fuori dello Stato Pontificio. Invece i Guelfi bianchi a cui apparteneva Dante erano contrari a che il papato potesse condizionare la politica fiorentina. Dante non è come lo ha poi definito Foscolo nei Sepolcri il “ghibellin fuggiasco”. Lo ha chiamato così perchè quando Dante era in esilio si avvicinò ad altri fuoriusciti ghibellini nel tentativo di tornare in patria, però lui ghibellino non è mai stato. Era un guelfo bianco e siccome all’epoca dominava a Firenze la parte dei guelfi neri e lui era stato priore nel governo fiorentino negli anni precedenti, gli fu intentato un processo nel quale gli venivano addebitate varie ipotesi di reato.

Fu addirittura accusato di baratteria ed estorsione

Esatto la “baratteria” oggi sarebbe l’equivalente di corruzione, un reato del pubblico ufficiale che oggi si chiamerebbe traffico illecito di influenze. In più gli contestavano anche appropriazioni indebite di denari pubblici. Corruzione, baratteria, estorsione sono tutta una serie di reati che oggi chiameremo comuni. Accanto a questi gli si contestavano anche una serie di reati squisitamente politici cioè di aver avvantaggiato la parte bianca in danno dei neri abusando della sua funzione istituzionale. Dante dunque era citato a comparire davanti al Podestà ma capì l’antifona, capì cioè che non tirava aria favorevole e visto che si trovava a Roma come ambasciatore presso il papa decise di non tornare a Firenze. Anche se era stato ben informato di questa citazione a comparire.

Come riuscirono a condannarlo?

Per gli statuti fiorentini dell’epoca, cioè la legge penale e processuale del tempo (noi ne abbiamo una copia in latino) era stabilito che l’imputato dovesse essere notiziato (informato)  in tutti i modi possibili dell’esistenza del processo e dell’invito a comparire tramite banditori pubblici. Se però l’imputato nonostante fosse stato avvisato in tutti i modi possibili non compariva al processo, vigeva una regola ferrea che l’imputato ‘contumace’ era equiparato a un imputato reo confesso, cioè era come se avesse ammesso tutte le sue responsabilità. Quindi il giudice ebbe buon gioco ad emettere la prima sentenza di condanna che fu al pagamento di una somma di fiorini, una somma all’epoca notevole che doveva essere pagata in un termine ridottissimo di tre giorni. Con la previsione che se l’imputato non provvedeva al pagamento della somma di 5 mila fiorini, che oggi potrebbero essere equiparati a 50 mila euro, il giudice a suo arbitrio poteva commutare la pena pecuniaria in una pena di carattere personale. Quindi con una successiva sentenza sempre del 1302 il giudice commutò la pena nel famoso esilio. Addirittura negli anni successivi ci fu un’altra sentenza in contumacia in cui Dante fu condannato alla pena capitale (a morte).

Dante dunque non tornò mai a Firenze

Esatto ha trascorso l’esilio in vari luoghi, ad Arezzo, in Lunigiana, a Bologna, Forlì, Verona e poi infine a Ravenna dove è morto. Nella Divina Commedia parla più volte del dolore di non poter tornare in patria. Anche nelle epistole che lui ha mandato ai fiorentini ci sono le invettive in cui ne dice di tutti i colori contro l’amministrazione fiorentina. Ricordiamoci che lui all’epoca era già famoso come poeta e scrittore. In realtà gli fu proposto di tornare a Firenze con una specie di amnistia condizionata all’oblazione, cioè doveva pagare una somma, stare formalmente in carcere per un po’ di tempo e fare una processione in cui doveva comparire come penitente. Ma lui decise di non sottostare a questa umiliazione e non tornò mai a Firenze.

Chissà magari il processo del 21 maggio finirà in un altro modo?

L’iniziativa che abbiamo organizzato è finalizzata, cosa che non è stata mai fatta prima fino ad oggi, a vedere dal punto di vista giuridico se queste famose sentenze, alla luce non soltanto di principi giuridici oggi universalmente riconosciuti (attualmente sarebbe infatti impensabile che una persona possa essere ritenuta colpevole in contumacia) ma anche alla luce della normativa all’epoca vigente ci fossero state davvero delle prove per poterlo condannare, o se (questa è la nostra tesi) si fosse invece trattato di sentenze politiche cioè di uso strumentale della giustizia per fini politici. Al convegno interverranno storici, giuristi e anche la presidente della Cassazione.

Il programma dell'evento

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