Il livornese Paolo Dario si è laureato in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Pisa, ed è Professore Ordinario di Robotica Biomedica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È attualmente il prorettore della Scuola Superiore Sant’Anna e del Polo Sant’Anna Valdera, centro di ricerca situato a Pontedera.
Viene considerato il “padre” della biorobotica, fu lui insieme a Giulio Sandini dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Patrick Aebischer del Politecnico di Losanna a organizzare nel 1989 uno dei primi convegni dedicati alla biorobotica, che allora cominciava a muovere i primi passi. Ha compiuto 70 anni da poco, ama le motociclette e per lui l’ingegneria è un’avventura.
Ha viaggiato in tutto il globo ma non ha mai lasciato l’Italia che secondo lui ha le scuole migliori del mondo. Si è laureato negli anni in cui in Italia si sparava per le strade, un periodo storico difficile in cui però Paolo Dario voleva cambiare il mondo e immaginava un futuro diverso.
Per lui l’ingegnere è un uomo d’azione e deve essere dotato di grande fantasia e immaginazione, deve avere il coraggio di pensare in modo diverso dagli altri e per questo ha molto in comune con i designer della moda o i grandi chef. A lui siamo andati a chiedere come immagina il prossimo futuro.
Ecco la nostra intervista
Salve professore come e perchè si è avvicinato all’ingegneria e poi alla biorobotica?
A me hanno sempre interessato le grandi sfide. Quando ero un ragazzo la sfida più importante e che ci eccitava molto era la conquista della Luna. Era la grande sfida tecnologica dell’umanità. Io sono sempre stato interessato anche ai problemi sociali, alle persone, non solo alla tecnologia. Inoltre in quegli anni leggevo molto, soprattutto fantascienza che per me era una finestra sul futuro. La fantascienza mi ha ispirato molto. Tutte queste cose messe insieme mi hanno portato all’ingegneria biomedica, che vuol dire realizzare organi artificiali e alla robotica che è realizzare macchine intelligenti con capacità simili o superiori a quelle dell’uomo, con l’idea che potessero essere utili all’umanità. La scienza è pura curiosità e conoscenza, l’ingegneria invece si basa sul risolvere problemi pratici. Io alla fine sono stato più interessato al versante dell’applicazione pratica, a inventare e risolvere. La robotica io dico sempre è “sogno e bisogno” cioè costruire macchine, robot che io desidero che siano utili, ma allo stesso tempo che per essere realizzate mettono in campo tutta una serie di elementi che sono al confine tra le varie discipline.
All’Istituto di Biorobotica della Sant’Anna si lavora da tanti anni alle protesi, come l’ormai celebre mano robotica, ma anche ai “soft robot” una delle ultime applicazioni della robotica. Quali sono i principali campi di ricerca per il futuro?
La biorobotica cerca prima di tutto di capire come funziona il mondo naturale quindi le specie viventi, gli animali, le piante e gli uomini. Poi c’è una parte applicativa cioè realizzare macchine intelligenti e soluzioni per i problemi dell’umanità. Per esempio problemi legati alla chirurgia, alle protesi, alla riabilitazione di persone che hanno subito ictus oppure disabili e anziani, o anche semplicemente macchine per servire e per aiutare. C’è anche una parte della biorobotica che si sta interessando alla “cura” del mondo, si occupa cioè di aiutare la Terra che si sta riscaldando, è inquinata, spesso il cibo è scarso in alcuni luoghi.
Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk sono i nomi di quattro imprenditori che hanno sfidato i limiti dell’essere umano e che con le loro sperimentazioni hanno cambiato la nostra vita. Sono anche pionieri per certi versi molto controversi che vengono spesso ammirati solo per la ricchezza che sono riusciti ad accumulare e criticati per il modo in cui sono riusciti ad ottenerla. Lei cosa ne pensa?
Ci sono molte lezioni da imparare da loro. La prima cosa che mi colpisce è che guarda caso sono tutti americani. Anche se non sono necessariamente tutti di nascita americana. Però è vero che gli Stati Uniti rappresentano un ecosistema per l’innovazione. È il luogo dove persone di varia provenienza possono progettare il futuro. Io ho sempre cercato di rendere possibili in Italia quello che fanno altrove. Ho sempre avuto non l’invidia ma il senso di emulazione, osservare e cercare di rendere possibile o migliore quello che fanno gli altri. La domanda da porsi infatti è questa: in Italia è possibile far accadere quello che succede in America? Questa per me è la vera sfida. I ragazzi che educhiamo in Italia sono capaci altrettanto se non meglio degli americani. Queste quattro persone sono il frutto nel luogo dove hanno operato che è un luogo incline all’innovazione. Gli Stati Uniti sono un grande paese dove quando uno si presenta con un’idea innovativa suscita entusiasmo. Nella vecchia Europa e in Italia, un paese con un’età media purtroppo molto alta, l’inclinazione verso l’innovazione è bassa. Se Elon Musk fosse nato in Europa gli avrebbero riso dietro, le banche non gli avrebbero dato i soldi e gli avrebbero chiesto in pegno la casa. In Italia noi abbiamo persone simili anzi anche migliori di lui. I miei giovani studenti sono tutte persone con competenze paragonabili se non superiori alle sue. La differenza è che queste persone negli Stati Uniti hanno spazi che da noi non ci sono per esplorare idee innovative, quello che si potrebbero definire “sogni”. All’inizio sono solo sogni che poi però trovano occasioni finanziarie. Anche da noi ci sono i visionari ma non hanno modo di trovare i finanziamenti per le loro idee.
Le tecnologie fanno male solo a chi non le ha. Bisogna averle per poterle controllare senza subirle
Prima parlavamo della fantascienza, spesso i film hanno ipotizzato la fine del mondo e dell’umanità. La pandemia di Covid è stata per certi versi una sorta di “anteprima” di come potrebbe un giorno davvero finire il genere umano…
Io ho sempre viaggiato moltissimo per lavoro, mi è capitato in un solo mese di visitare Cina, Giappone, Stati Uniti, Corea, Europa. Per me viaggiare era un evento settimanale. Bastava osservare e capire che le epidemie sarebbero potute capitare. Ho visto la Sars in Cina nel 2003, quindi mi ero già fatto l’idea che una cosa del genere sarebbe potuta capitare ancora. Ho sempre avuto molta fiducia nella scienza e continuo ad averla, sono “super provax”, quindi ritengo che i vaccini siano un’eccellente difesa. Preparasi alle prossime pandemie è saggio, io ho spesso citato la favola della formica e della cicala. Uno può pensare che le discoteche e le palestre siano una grossa perdita ma non è così. Sarebbe bene pensare a cosa può avvenire in futuro e dotarsi di solidi laboratori biologici per realizzare farmaci e vaccini. È importante anche dotarsi di macchine e tecnologie migliori, per esempio durante il lockdown abbiamo visto quanto è importante avere sistemi di comunicazione remota come Zoom, Google Meet (tutti sistemi americani, non ce n’è uno europeo), di logistica avanzata, di robot negli ospedali, tutte queste cose potrebbero essere utili in futuro. Nessuna pandemia compresa la peste nera ha mai sterminato l’umanità che è sempre sopravvisssuta e credo che sarà così. Noi però non dobbiamo farci trovare impreparati. Le tecnologie fanno male solo a chi non le ha. Bisogna averle per poterle controllare senza subirle. Le tecnologie le fanno le persone, quindi bisogna investire in ricerca anche per esplorare nuove frontiere e c’è bisogno di imprese che siano capaci di trasferire la conoscenza tramite spin-off verso l’applicazione.
A proposito di nuove frontiere, la nostra generazione ha vissuto una grandissima rivoluzione tecnologica con l’arrivo di Internet e degli smartphone. Se dovessimo sognare, come saranno i robot del futuro?
Il futuro non lo prevede nessuno. Nessuno aveva previsto internet. La rivoluzione vera nel 2007 è stato l’arrivo dell’iphone che ha reso possibile tutta una serie di cose che prima non esistevano. Io sono nato e vissuto nel mondo analogico fatto di carta, libri, carte geografiche, telefoni fissi. Prevedere il futuro, quello vero che cambia la storia è difficilissimo. L’unica cosa che ho imparato e che insegno ai miei studenti è che le vere rivoluzioni vengono più dalla scienza che dalla tecnologia. Il concetto è guardare alle scoperte che sono qualcosa di imprevedibile e nuovo. Se lei pensa ai Led blu che ha fruttato il premio nobel ai tre giapponesi che l’hanno creato. Grazie al Led blu è stato possibile introdurre una serie di rivoluzioni tecnologiche di cui la gente non si rende bene conto, come banalmente i display del telefono. Scienza che genera innovazione radicale. Secondo me le prossime grandi rivoluzioni verranno dalla biologia, dalla fisica e dalla scienza dei materiali che poi potranno essere usate per realizzare macchine migliori. Io credo molto nella possibilità che tra relativamente poco ci saranno dei robot “personali” quelli che io ho definito robot “companion”. Non vorrei mai un robot più intelligente di me, vorrei un robot che sia forte, a cui la mattina prima di uscire di casa chiedo di pulirmi il bagno, rifarmi il letto e mettermi in ordine la cucina. Il robot non deve pensare troppo, minacciare, cantare o fare “mossine”. Voglio un robot che sia intelligente e percettivo come un maggiordomo inglese, non più di questo.