Del centro sportivo se ne parlava dagli anni ’80, quando i Duran Duran erano primi in classifica e le giacche con le spalline erano un must. Quarant’anni dopo eccoci al traguardo, lo vediamo laggiù, mentre la musica trap fa da colonna sonora e il Viola Park sembra un sogno realizzato, anche se nel frattempo siamo diventati genitori, forse anche nonni, i capelli sono imbiancati e se non fosse che Antognoni dimostra sempre vent’anni di meno saremmo stati ingoiati insieme ai nostri sogni dal quel buco spazio temporale.
Dello stadio, invece, hanno iniziato a circolare plastici nel nuovo millennio, ma comunque almeno tre lustri fa. Gli occhi brillavano, il futuro sembrava qui. A Firenze nord, accanto all’aeroporto, c’era il domani di un mondo fino a quel momento alieno. Lo stadio, il parco tematico (che nessuno ha mai capito bene cosa fosse), piscine, un’area verde, un universo mirabolante pieno di fascino. Il destino della Fiorentina era lì, nei suoi centri commerciali, nel museo dei trofei (e delle plusvalenze, perché no?). Tutto bellissimo. Poi: inchiesta giudiziaria, area sequestrata. Addio. Ma a Firenze abbiamo la pelle dura e tanta pazienza. E anche quel filo di scetticismo indotto dall’esperienza.
Ma il tifo è fede. Laica, ma sempre fede è. Ecco perché il nuovo stadio è un viaggio interiore
Perché un plastico non è per sempre. Ne serve un altro: poco più in là. Sì, là dove Novoli diventa Tokyo, e tra palazzoni anni ’60, il futurismo di Gotham City e l’ex palazzo Telecom disegnato come un bagno di Versace, ecco il futuro che riappare. Un altro stadio, centri commerciali e la famosa via del lusso, perché quella è la chiave di volta: chi non vorrebbe fare due passi a Novoli per spendere 50 mila euro da Louis Vuitton e poi andare a mangiare la pizza a taglio davanti all’università? Che movida, ragazzi. Plastici, rendering e sogni infranti. Una vita a immaginare il calcio senza uscire con le scarpe zuppe di pioggia, il raffreddore come effetto collaterale di inverni impietosi, il tutto mentre la Fiorentina andava su e giù sul suo ottovolante. Ma il tifo è fede. Laica, ma sempre fede è. Ecco perché il nuovo stadio è un viaggio interiore alla ricerca di qualcosa che somigliava tanto al desiderio di utopia e adesso si prepara a diventare qualcosa di diverso.
Stavolta c’è un cronoprogramma e un tempo limite dettato da chi si fida ma si fida il giusto. Il recovery fund sono tanti soldi, usarli anche per le infrastrutture e per gli impianti sportivi ha un senso, sempre che questo significhi riqualificazioni di aree metropolitane, e un passo concreto nel domani. Ora che c’è un progetto vincitore, ora che ci siamo sfogati con i mugugni e le battute, ora che i “a me un mi garba” hanno fatto il giro del web, la sensazione che questa sia la volta buona ci lascia senza parole.
Forse perché il sogno è sempre più luccicante della realtà, ma resta il fatto che una direzione e una tempistica sono lì, sotto i nostri occhi. E viene da sorridere quando si dice che Rocco Commisso, che tra l’altro sta discutendo il rinnovo della convenzione col Comune, per ripicca potrebbe far giocare la sua Fiorentina altrove. Lui voleva fare il suo stadio, e aveva le sue ragioni. Poi è arrivata la soprintendenza e allora niente. Niente neanche a Campi, versione sicuramente interessante che però è andata a sbattere, dopo l’opzione su un terreno desertico, dritta verso un grande nulla. E allora non ci resta che seguire la strada indicata dal sindaco e da chi ha lavorato al progetto. Uno stadio rivisto e corretto secondo principi della contemporaneità a Campo di Marte invoca parcheggi, aree verdi, infrastrutture utili alla causa, oltre che aree commerciali che non vadano a fare del male a chi ha attività nel quartiere.
I giochi sono aperti. Certi, però, che questa volta ci sono tempi e scadenze
E’ una rivoluzione, e dovrà essere una rivoluzione sostenibile, così come il progetto dello stadio che, piaccia o non piaccia, ha dovuto fare i conti con i compromessi dettati dai vincoli di cui le curve e le scale elicoidali sono ormai simboli destinati all’eternità, anche se il cemento armato, per sua natura, è tutto meno che eterno. Il confronto vero e già annunciato, sarà quello tra l’amministrazione comunale e i cittadini del quartiere. La discussione della città, quella che sembrava divisa a suo tempo sulla tramvia (di cui oggi non potremmo fare a meno) e che oggi discuterà del futuro di un’area urbana un tempo periferia e oggi quartiere residenziale a un passo dal centro.
I giochi sono aperti. Si potrà criticare, migliorare, immaginare e comunque discutere su estetica, opportunità e tutto quello che accadrà. E sarà giusto farlo. Certi, però, che questa volta ci sono tempi e scadenze, oltre che l’avvallo del governo e delle istituzioni sportive. Non poca cosa. Anche perché, detto tra noi, i sogni di plastica non ci interessano più.