Quando hai alle spalle 35 anni di storia, 35 edizioni del Premio Pieve, non ce la fai nemmeno a immaginare cosa significherebbe non esserci anche solo per un anno, lasciare un vuoto nella linea del tempo che, a oggi, non aveva alcun precedente. Sarebbe stata una grande responsabilità decidere di lasciare quel buco, quel vuoto; ma data la situazione, il momento storico che stiamo vivendo, sarebbe stato lecito e plausibile; ma la responsabilità che ci siamo presi è stata, forse e se possibile, ancora più grande. Perché abbiamo deciso di esserci anche quest’anno, con molto coraggio e con un pizzico di incoscienza forse. È stato un atto di resistenza collettivo, così lo abbiamo pensato, così lo abbiamo vissuto, così vogliamo ricordarlo.
È stato un atto di resistenza collettivo, così lo abbiamo pensato, così lo abbiamo vissuto, così vogliamo ricordarlo
Potevamo passare la mano, aspettare tempi migliori, realizzare qualcosa di più leggero, a distanza. Nessuno avrebbe potuto dire nulla, dato quello che abbiamo vissuto e che stiamo ancora attraversando. Ma poi ci siamo parlati, a lungo, in maniera anche animata e decisa; ci siamo confrontati, mettendo sul tavolo tutti i punti di vista, le posizioni, le opinioni.
E ci siamo resi conto che avevamo alle spalle 35 anni in cui, senza soluzione di continuità, avevamo accolto, ascoltato, raccontato… e poi abbracciato, guardandoci negli occhi, migliaia di persone, migliaia di diari, migliaia di storie.
Non poteva sottrarci a tutto questo. E abbiamo voluto esserci, ancora una volta, per il rispetto che dovevamo alle storie arrivate nella Città del diario in questo 2020, a quelle arrivate in questi 36 anni; lo abbiamo fatto per il rispetto che dovevamo a Saverio Tutino e all’impresa memorabile che, con genio e follia, ha fatto nascere nel 1984 fra queste colline, al riparo dal caos, qui dove, prestando attenzione, si riesce a cogliere distintamente il fruscìo degli altri di cui amava parlare il nostro fondatore.
E volevamo esserci per tutti quelli che, alla fine, ci sono stati, insieme a noi. Volevamo esserci per tutti loro che, come ogni anno, come in un rito laico, aspettavano da mesi di poter tornare o venire per la prima volta a Pieve Santo Stefano, in questo magico pellegrinaggio della scrittura e della memoria che porta a Pieve centinaia di persone da ogni parte d’Italia. Non sapevamo come sarebbe andata. Avevamo paura? Si, un po’ anche paura, perché era una scommessa difficile da vincere, ma sapevamo che potevamo farcela.
Quando si celebra un’edizione come questa, quando ci si prepara a un’edizione che viene subito dopo un grande anniversario come il 25°, il 30°, il 35°… si pensa sempre, già in partenza, che sarà un’edizione in qualche modo in tono minore, come quando dopo l’apice toccato ci attendiamo una discesa. Noi però, quest’anno, non volevamo ci fosse una discesa e per questo abbiamo spostato la bandiera della cima ancora più in alto, decidendo di spingerci fin lassù. Ci giocavamo tanto, se non tutto, perché sapevamo che era in ballo la nostra stessa reputazione, considerando tutti i rischi a cui ci siamo esposti. Nel nostro lavoro, nella nostra quotidianità, cerchiamo sempre di non abbassare mai il livello di quello che facciamo e crediamo sia proprio questo che ci viene riconosciuto dalle persone.
La forza ci viene data dalle storie che custodiamo qui in Archivio
La forza ci viene data dalle storie che custodiamo qui in Archivio, dal rispetto che nutriamo verso queste 9 mila storie di vita, dall’amore che proviamo per queste 9 mila vite di carta. Vite uniche e irripetibili, storie comuni che, tutte insieme, fanno la Storia collettiva.
Cosa sarebbe successo se non ce l’avessimo fatta?
Difficile dirlo, ma fortunatamente non dobbiamo rispondere a questa domanda, non quest’anno. Se ce l’abbiamo fatta è davvero merito di tutti. Non è una frase di circostanza, né retorica; il Premio Pieve lo si fa tutti insieme, sempre. E con “tutti insieme”, senza fare elenchi lunghi e noiosi, intendiamo davvero “tutti insieme”. La parola comunità forse rende meglio di un elenco sterile, per quanto forse doveroso. L’Archivio, il Piccolo museo del diario e il Premio Pieve rappresentano un bene comune, appartengono alla collettività. Sono luoghi di confronto, di scambio, di ascolto, luoghi in cui ognuno ha diritto di parola, luoghi in cui ha voce anche chi non ha voce. È da sempre così e faremo di tutto perché continui ad esserlo anche dopo di noi.
L’Archivio, il Piccolo museo del diario e il Premio Pieve rappresentano un bene comune, appartengono alla collettività
Se è stata dura?
Non lo è mai stata così tanto. Ma quando domenica sera 20 settembre questa 36ª edizione del Premio Pieve si è conclusa, sono stati in moltissimi a dirci e a scriverci che, se possibile, era stata ancora più bella, più intensa e più emozionante di sempre. È lì, col cuore colmo di gioia e con gli occhi pieni di commozione, che abbiamo capito che, forse, ce l’avevamo fatta davvero, ancora una volta.
Ci giudicherà chi verrà dopo di noi, con la mente più lucida di noi; ma sicuramente, quando ci guarderemo indietro, non troveremo un vuoto nella linea del tempo e della memoria; perché grazie a questo atto di coraggio corale, a questo atto di resistenza collettivo, potremo dire, ancora una volta, di esserci stati.
*Natalia Cangi, insieme allo staff dell’Archivio dei diari e del Piccolo museo del diario