OPINIONE/

« I giorni di vetro » di Nicoletta Verna: la resistenza di due donne contro gli orrori della Storia

Il secondo libro della scrittrice forlivese trapiantata a Firenze è un romanzo potente in cui la la vita dei suoi protagonisti si intreccia, nella Romagna fascista, con i terribili avvenimenti della prima metà del Novecento: dittatura e guerra

Nicoletta Verna I giorni di Vetro

Dopo qualche vicissitudine e colpevolmente un po’ in ritardo, ho finito (e già mi dispiace di non esserne più immerso) la seconda opera della scrittrice Nicoletta Verna: “I giorni di Vetro” (Einaudi).

Due donne – Redenta e Iris – unite da un destino comune di lotta, sofferenza, prevaricazione maschile e dolore 

Un romanzo potente, superiore, feroce, a tratti disturbante per la sua forza realisticamente immaginifica, la violenza espressiva e quella dei fatti narrati, in cui i grandi avvenimenti del ventennio fascista (dal delitto Matteotti) e sopratutto della seconda guerra mondiale si fondono e intrecciano con le micro-storie di un popolo martoriato e con personaggi scolpiti con sapienza, pagina per pagina, nella materia psicologica e letteraria.

Redenta, Iris, Bruno, Diaz e Vetro: nomi che diventano rapidamente familiari, attori – insieme ad una variegata comunità – di un mondo ancestrale e onirico nel profondo tumultuoso della Romagna, tra Castrocaro e Forlì, costruiti minuziosamente, al centro di vicende e vite che viaggiano tra binari paralleli e convergenze esistenziali inaspettate.

Due voci-guida, linguisticamente diverse e sostenute da una scrittura capace di padroneggiare registri differenti, figlie di due donne – la “purina” Redenta, e la partigiana Iris – unite da un destino comune di lotta, sofferenza, prevaricazione maschile e dolore.

Un romanzo di rara intensità

Un romanzo di rara intensità in cui chi appare debole, saprà risorgere con crudele coraggio e chi, di contro, aggredisce la vita nel richiamo della lotta per la libertà non potrà non scoprirsi fragile e nudo davanti alla spietatezza della storia (e di Vetro).

Vetro, appunto, gerarca folle, con i suoi giorni sadici e irriducibili,   archetipo di quella Italia che aveva creduto al Duce oltre ogni logica e poi Diaz, il leggendario comandante partigiano dal misterioso passato, ad insegnarci che per amare la vita, a volte, occorre cinicamente anche desiderare morire.

 Un romanzo neostorico, novecentesco per la sua capacità di tenere insieme ritmo e trama, coralità, individui e masse

Un romanzo neostorico, novecentesco, per la sua capacità di tenere assieme ritmo e trama, coralità, individui e masse; ma per la caratterizzazione dei personaggi, quasi ottocentesco, da scuola russa, per come penetra nella mente umana, nel dipanare le sottili sfumature del pensiero con una lama introspettiva che taglia emozioni e contraddizioni, senza sconti o indulgenze agli angoli più oscuri del nostro sentire.
Cosa rimane di tutto questo? Il senso di essersi consumati e allo stesso rigenerati tra le onde sanguinolenti della nostra memoria collettiva e anche dopo l’ultima pagina non puoi non sentire echeggiare dentro di te le voci di chi ha soltanto provato a resistere alla ferocia del suo tempo.

 

L’intervista alla scrittrice Nicoletta Verna al Salone del Libro di Torino

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