Domenica undici aprile duemilaventuno. Non piove, ma ha piovuto. Il cielo è grigio come il piombo ed è una fredda giornata primaverile che di primavera non ha né il sapore né l’odore. Una cornice grave e coerente nella quale si dipinge – pardon, si gioca – uno dei derby calcistici più malinconici della storia recente. Allo stadio Porta Elisa s’incontrano Lucchese e Livorno. La partita, che entrambe avrebbero dovuto e forse voluto vincere, finirà zero a zero. Due giorni dopo, in un ultimo e inutile disperato tentativo di salvare il salvabile, la Lucchese esonererà l’allenatore Giovanni Lopez che a sua volta aveva sostituito nel corso della stagione Francesco Monaco, storico capitano degli anni gloriosi della Pantera. Un’icona, da queste parti. I rossoneri tireranno in porta solo una volta, su punizione. Le triglie amaranto ci proveranno con un po’ di convinzione in più, ma col medesimo risultato. Zero gol, zero emozioni, un solo punto e tanta nostalgia.
Già, perché al Porta Elisa domenica scorsa ero presente (da giornalista), come lo sono stato (da tifoso) nei derby degli anni Ottanta, quando la curva ospiti ancora non c’era e ai tifosi avversari era dedicato uno spicchio della gradinata. Con ovvie conseguenze, a cominciare dal lancio reciproco di monetine. Su quei gradoni eravamo tutti stipati, uno accanto all’altro, privi di seggiolini o posti riservati ma carichi di passione e adrenalina. E in campo, in mezzo a quella cornice che nulla ha a che vedere col desolante spettacolo andato in scena solo pochi giorni fa, c’era il calcio. Quello vero.
Che il mondo del pallone stia vivendo una crisi profonda è ormai evidente ai più. La pandemia non ha fatto che aggravare la situazione. Ma il declino di quello che per molti è lo sport più bello del mondo è cominciato assai prima, anche – e soprattutto – in Toscana. Il “granducato del calcio” si è dissolto a poco a poco, stretto dalla morsa di nemici più o meno visibili: l’avvento delle dirette televisive, l’ampiezza sempre crescente della forbice che allontana la serie A dalle leghe minori, la conseguente e progressiva assenza di risorse, di qualità e, cosa assai peggiore, di pubblico.
Mentre l’Empoli fa eccezione e si prepara a un ritorno in massima serie, le altre (compresa la viola di Iachini-Prandelli-Iachini) non se la stanno cavando meglio. Il Pisa, che può vantare una delle tifoserie più calde e appassionate della Toscana, galleggia in B senza sussulti e senza mai dimenticare il migliore dei suoi presidenti (il nome “Romeo Anconetani” si legge ancora a chiare lettere sui muri decadenti dello stadio). Il Siena, una delle società più antiche della regione (l’anno di fondazione è il 1904), reduce da un fallimento è oggi a metà classifica nel campionato dilettantistico. Una volta i derby erano quelli con la Fiorentina, oggi sono quelli contro Scandicci e Sangiovannese.
Con l’innovatore Erno Erbstein in panchina la Lucchese raggiunse il settimo posto in serie A, il suo miglior piazzamento
Tre volte in undici anni è fallita la Lucchese, la cui storia è iniziata un anno dopo, nel 1905. A Lucca il calcio nasce grazie a tre amici che l’avevano conosciuto (e amato) durante un viaggio in Brasile. La Pantera ha in bacheca la Coppa Italia di serie C vinta ai rigori contro il Palermo alla Favorita, ma nella memoria restano anche altri momenti di gloria. Ad esempio quando il mister era Corrado Orrico e in attacco Paci e Rastelli andavano avanti a suon di gol, o quando in serie A (dove fu anche campione d’inverno) raggiunse il settimo posto con l’innovatore Erno Erbstein in panchina. Lui, ebreo ungherese scampato ai campi di sterminio, è morto nella strage di Superga da allenatore del Grande Torino e a breve gli sarà intitolata la tribuna del Porta Elisa. Tra i pali, in quegli anni, c’era Aldo Olivieri, che da portiere della Lucchese diventò campione del mondo con l’Italia del 1938. Del 1915 è invece il Livorno, che proprio col Grande Torino lottò per lo scudetto nella stagione 1942-1943, anche se alla fine arrivò secondo. Il suo miglior piazzamento. Se pensi amaranto immagini però la coppia Protti-Lucarelli e l’epico ritorno in serie A dopo più di mezzo secolo, proprio a San Siro, la Scala del calcio. Una data che non si ricorda solo per il 2 a 2 finale, ma anche per l’invasione di dodicimila tifosi toscani che, con la bandana bianca in testa, si fecero beffa di Berlusconi.
Stipendi non pagati, punti di penalizzazione, rivoluzioni societarie, fallimenti. Il calcio toscano ha attraversato tutto questo
Oggi il Livorno, che nella sua storia recente ha pure debuttato in Coppa Uefa, insieme alla Lucchese è a un passo dalla serie D. Stipendi non pagati, punti di penalizzazione, rivoluzioni societarie, fallimenti. Il calcio toscano, negli ultimi anni, ha attraversato tutto questo. Non solo è ancora in mezzo al guado, ma non riesce neppure a intravedere la riva. Dire che è tutta colpa dei milioni delle televisioni sarebbe solo una mezza verità. Perché il mondo cambia, e con lui anche il modo di fruire spettacoli d’intrattenimento. Sì, perché è questo che il calcio è diventato: intrattenimento. Così è, ma solo a certi livelli. Perché dalle serie A in giù i club non sono più appetibili per investitori e imprenditori. Quelli locali, a Lucca come altrove, fanno spallucce. Magari contribuiscono con piccole e medie sponsorizzazioni per consentire alle cosiddette “cordate” di pagare stipendi scarsi di giocatori scarsi che, tecnicamente e qualitativamente, il più delle volte non sono adatti ad affrontare le categorie in cui sono chiamati a giocare. Ovviamente non è loro la colpa di tali scelte.
Se l’empolese Egiziano Maestrelli aveva sposato la Lucca del pallone, riportandola in sere B, era perché aveva seguito la scia dei suoi supermercati, che negli anni Ottanta sbarcarono in città. Qua, prima delle grandi catene, tutti andavano a far la spesa alla Superal. Ma non erano solo i soldi ad alimentare l’amore per la Lucchese. C’era piuttosto qualcosa di più profondo ed emotivo che coinvolgeva tutti, dai più giovani ai più vecchi. Sto parlando dell’entusiasmo che si prova solo quando insegui un sogno. E poco importa se oggi a Lucca c’è un progetto da 52 milioni di euro, fresco fresco d’approvazione, che prevede la ricostruzione di un nuovo stadio. Gli imprenditori continuano a fare spallucce, e il disinteresse cresce proporzionalmente alla morte del calcio. Non si sogna più.
Nella prossima gara di campionato ci sarà un altro derby, stavolta tra Carrarese e Lucchese. A Carrara non è che se la siano passata molto meglio: dopo 108 anni di storia (anno di fondazione 1908) anche loro hanno dovuto farei i conti con il fallimento, e solo pochi giorni fa, a causa della crisi in corso, Silvio Baldini ha lasciato la panchina che segnerà a breve il debutto assoluto come allenatore di Totò Di Natale. La squadra è invischiata nella lotta per la retrocessione insieme a Pistoiese, Lucchese e Livorno. Solo il Grosseto si tiene a distanza, mentre l’Arezzo (fallito nel 2018) è penultimo nell’altro girone di serie C.
Insomma, la prossima stagione potrebbe veder dimezzata la presenza delle squadre di calcio toscane dai campionati professionistici. Anche se stavolta non c’è alcun processo che rimbalza nelle aule di tribunale (o almeno non ancora), sempre di fallimento si tratta. Sportivo, prima di tutto. Gli stadi sono desolatamente vuoti, non potrebbe essere altrimenti. L’assenza forzata di pubblico corrisponde anche all’assenza di fischi che, credeteci, ci sarebbero stati. Anche in una fredda e piovosa domenica di primavera che ha obbligato all’accensione dei riflettori già alla fine del primo tempo di un derby tra due nobili squadre cadute in disgrazia. I riflettori illuminano gli spalti, ma in campo c’è il buio. Chissà per quanto tempo ancora.