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Olimpiadi di Parigi, caso Khelif-Carini: quando semplificare la realtà diventa un atto pericoloso (per tutti)

Una situazione articolata, ma che dovrebbe però lasciarci distanti da facili strumentalizzazioni o da approcci superficiali. Fatti e non fake news, opinioni ragionate e non posizioni “urlate” che parlano solo alla pancia del Paese. Con la paura della complessità

Khelif-Carini - © Fonte: Open

Difficile non provare sdegno di fronte alle strumentalizzazioni e alla superficialità di approccio e ragionamento sul caso Khelif-Carini, pur riconoscendo la complessità «contemporanea» della situazione. Difficile non avvertire il pericolo che giunge da un sistema mediatico-narrativo capace di creare un “mostro”, di ridicolizzare pubblicamente persone, posizioni e soprattutto il “corpo” di chi non ricade nella cosidetta “norma”.

Pochi punti di una brutta storia, ma essenziali:

– L’atleta proveniente dall’Algeria è donna. Nata donna.
– Ha portato alla ribalta un termine «intersex» che certifica una condizione più fluida, con caratteristiche sessuali che non si adattano alle tradizionali definizioni, considerate binarie, di maschio oppure di femmina, tuttavia è e rimane donna. Non è un trans, non è un uomo.
– Rimane donna anche sportivamente in base alle misurazioni, gli standard, le analisi sui livelli del testosterone degli esperti del CIO, che dalla nostra prospettiva tecnico-scientifica limitata, in un mondo comunicativo-social della «amatorializzazione» in cui tutti parlano di cose che non sanno, è una posizione che va rispettata, accolta, assunta con dovuta considerazione.
– L’IBA, la federazione che squalificò la boxer algerina senza test specifici, non è più riconosciuta dal CIO dal 2019 e su questa organizzazione pesano casi di corruzione, opacità gestionale e una vicinanza con Putin tramite il presidente Kremlev che non depongono certo a favore della sua autorevolezza.
– Khelif – parla la sua storia sportiva – non appare un’atleta irresistibile, non sembra invincibile, non è così superiore da dare a prescindere l’idea che sia al di là della categoria di appartenenza.

Non abbiamo più bisogno di strumentalizzazioni imbarazzanti, di dichiarazioni in formato-tweet ad uso e consumo della pancia del Paese, di media spesso incapaci di «mediare» (appunto) e raccontare con spirito critico e autorevolezza la realtà.

Detto questo, non voglio disconoscere il fatto che ci troviamo di fronte ad una vicenda articolata. La Khelif è un caso «attenzionato» da tempo, in crescita sportivamente (solo per i suoi allenamenti o per una struttura muscolare che appare alquanto solida?), così come non si può non rimanere colpiti dal comportamento della Carini che resta pur sempre brava, argento mondiale ed europeo, esperta, con la sua storia di fatica alle spalle.

Questo è un mondo complesso e veloce. Sono due cose, purtroppo, che non favoriscono un ragionamento strutturato se siamo circondati da persone mosse da intenzioni ben distanti dall’obiettivo di comprendere e affrontare con serietà i problemi.

Non abbiamo più bisogno di strumentalizzazioni imbarazzanti, barbare, di dichiarazioni in formato-tweet ad uso e consumo della pancia del Paese, di media spesso incapaci di «mediare» (appunto) e raccontare con spirito critico e autorevolezza la realtà, per la costruzione di una opinione pubblica equilibrata, a partire dai fatti e non da fake-news abilmente confezionate. Ed è tutto questo che profondamente colpisce e ripugna.

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