Nel ghiaccio dell’Antartide ci sono ancora i resti di plutonio-239, risalenti ai test nucleari condotti molti decenni fa, addirittura negli anni Cinquanta. È la scoperta del team di ricercatori dell’Università di Firenze, coordinati da Mirko Severi, Rita Traversi e Silvia Becagli, che sono impegnati nell’estrazione e analisi di una carota di ghiaccio antartico, veri e propri “archivi ambientali”.
La ricerca è avvenuta grazie alle attività di perforazione, estrazione e analisi di una carota – ossia un cilindro di ghiaccio perforato a partire dalla superficie di un ghiacciaio – ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Chemosphere.
Il plutonio-293 dai test condotti negli anni Cinquanta
“Il plutonio-239 è un marker specifico per valutare gli effetti sull’ambiente dei test nucleari iniziati negli anni Cinquanta e condotti fino agli anni Ottanta – spiega Mirko Severi, docente di Chimica analitica dell’Ateneo fiorentino – si tratta, infatti, dell’isotopo fissile primario utilizzato per la produzione di armi nucleari. Il suo ritrovamento, in primo luogo, è utile per determinare una datazione accurata degli strati nevosi: dal punto di vista glaciologico, la presenza di plutonio-239 nelle carote di ghiaccio permette, infatti, di attribuire i campioni agli anni in cui venivano condotti i test sulle armi nucleari”.
A partire dal 1952, infatti, sono stati eseguiti numerosissimi test con ordigni nucleari. In particolare, durante i primi esperimenti venivano fatti esplodere in atmosfera e la radioattività sprigionata poteva arrivare anche in posti remoti e lontani dall’esplosione, come l’Altopiano Antartico, dove il team dell’Università di Firenze ha eseguito il carotaggio.
“L’esistenza di tale materiale radioattivo in un posto così isolato, nella parte centro-orientale del continente a oltre 3mila metri di altitudine, dovrebbe indurre a riflettere su quanto l’azione dell’uomo impatti sul nostro pianeta – commenta Rita Traversi, docente di Chimica analitica all’Università di Firenze – i tempi di permanenza nell’ambiente del plutonio-239 sono lunghissimi, la sua concentrazione si dimezza in 24mila anni”.
Le attività del team sono frutto di un’esperienza avviata negli anni Novanta – nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica) – con progetti di ricerca in Antartide tuttora in esecuzione. Nello specifico, la ricerca pubblicata su Chemosphere si basa su una carota della lunghezza di circa 120 metri, prelevata tra il 2016 e il 2017 e poi trasportata e analizzata nei laboratori Unifi del polo scientifico di Sesto Fiorentino.
“A differenza degli studi precedenti basati su tecniche di misurazione della radioattività che necessitavano di grandi quantità di campioni (qualche chilo di ghiaccio) – aggiunge Silvia Becagli – le analisi condotte nei laboratori dell’Università di Firenze hanno permesso di raggiungere risultati soddisfacenti con campioni dal volume molto più ridotto. Tale ‘snellimento’ è un vantaggio importante poiché generalmente i campioni da analizzare vengono suddivisi tra vari gruppi di ricerca; quindi, a una minore necessità di materiale per condurre le ricerche corrisponde una maggiore possibilità di eseguire ulteriori tipi di analisi”.