Sabato 12 aprile nello spazio Gada Playhouse di Firenze (via de Macci, 11) arriva in concerto la cantautroca Carlotta Sillano per presentare il suo ultimo disco “Nella natura vuota dei simboli appassiti”, realizzato in collaborazione con Taketo Gohara.
Il nuovo album è il primo lavoro in italiano dell’artista vercellese, conosciuta finora con il moniker Carlot-ta , si tratta di una raccolta di 10 brani intensi e visionari che esplorano i temi della natura, della conoscenza e della memoria attraverso un sofisticato chamber pop che unisce elementi folk ed elettronici, dando vita a un immaginario evocativo e sospeso nel tempo.
I brani sono ambientati in spazi affascinanti – tra montagne sacre, giardini rinascimentali e laghi artificiali – ma anche in mondi simbolici punteggiati di icone e wunderkammer. Non mancano elementi intimi e personali, legati alla memoria e agli oggetti, che aggiungono profondità emotiva a un’opera già ricca di suggestioni.
Carlotta Sillano si conferma così una delle voci più originali e colte del panorama cantautorale contemporaneo, già premiata in passato con il Premio Ciampi per il miglior esordio e una nomination alle Targhe Tenco come miglior opera prima.

Ecco la nostra interviata a Carlotta Sillano
Ciao Carlotta il titolo del tuo disco “Nella natura vuota dei simboli appassiti” mi ha ricordato una poesia di Baudelaire “Corrispondenze“, in generale tutti i tuoi pezzi mi ricordano i poeti romantici e decadenti come Rimbaud, Verlaine, quanto c’è di tutto questo nelle tue canzoni?
Assolutamente sì, non si esce mai da questa adolescenza introspettiva che mi ha fatto conoscere i poeti simbolisti e questo mondo un po’ oscuro. Resta un retaggio che mi porto appresso. In questo caso il riferimento non era così diretto, ma quella che citi è una poesia che ho amato molto e che mi è rimasta in mente. I simboli vengono descritti come “appassiti” ma non è un disco nichilista, è un invito a cercare qualcosa che ci tenga vivi. Il titolo dell’album è una delle prime frasi della canzone “Vanitas” che è un brano abbastanza apocalittico, ma ha un finale non così terribile e rappresenta il percorso di tutti e dieci i pezzi che sono contenuti nel disco.
La mia musica parte da una realtà che io vivo, pesaggi che ho visto fin da quando sono bambina. Quello che ho provato a fare è raccontare un livello immaginifico che sta poco lontano
Sono molto colpita dai testi delle tue canzoni che sfuggono l’abitudine di un certo tipo di cantautorato che racconta la quotidianità, i problemi di tutti i giorni. Con te si fa un viaggio in una terra inesplorata e fantastica. Sono testi abbastana ermetici, ti interessa come vengono recepiti dall’ascoltatore oppure ti piace lasciare libertà totale nell’interpretazione?
Tendo a non amare la musica che racconta la vita nei suoi aspetti più banali, mi piace ascoltare musica che lascia spazio per evocare mondi distanti ma anche molto vicini. La mia musica parte da una realtà che io vivo, paesaggi che ho visto fn da quando sono bambina. Quello che ho provato a fare è raccontare un livello immaginifico che sta poco lontano. Mi auguro che ci sia spazio per chi ascolta per immaginare una stessa proiezione ma soggettiva.
Questo disco mi è apparso come un tuo viaggio intimo e anche meditativo, come hai composto l’album? C’è stata una fase di isolamento e ricerca interiore?
Innanzi tutto è il mio primo disco in italiano, questa cosa per me è stato un passaggio molto naturale forse perché volevo raccontare qualcosa che risultasse più chiaro e accessibile per l’ascoltatore. Quindi la ricerca è stata proprio sul linguaggio. Questo ha guidato la scrittura che è durata 2-3 anni, è iniziata nel periodo post-covid, e si è conclusa poco prima di entrare in studio. Spesso mi rifugio sulle montagne, sono luoghi a me molto cari, quasi tutte le canzoni le ho scritte sulla Valsesia.
Una delle mie canzoni preferite del disco è “Wunderkammer”, la stanza delle meraviglie in cui i nobili del passato raccoglievano oggetti rari e preziosi che tu associ invece a una raccolta di tuoi ricordi. Stavo pensando che forse le playlist che facciamo oggi con le nostre canzoni preferite possono essere considerate delle piccole wunderkammer…
Perché no certo, di fatto la wunderkammer che io descrivo è uno spazio del pensiero, se uno la volesse riempire di canzoni si potrebbe trasferire questo concetto. La mia riflessione è proprio sulla oggettificazione del ricordo. Quelle vere dei nobili sono anche loro collezioni di ricordi, souvenir di viaggio che oggettificavano l’esperienza, ma possiamo anche creare una collezione solo mentale.
Per il disco hai collaborato con il produttore Taketo Gohara, altri musicisti che ho intervistato mi hanno detto che ha il potere di leggere dentro le persone, è stato così anche per te?
Lavorare con lui è stata veramente un’esperienza bellissima, lo dico senza piaggerie. Ero anche abbastanza preoccupata prima di iniziare il lavoro, perché lui ha collaborato con nomi grossi della musica italiana. Temevo avesse poco tempo per me, invece si è dedicato al progetto con una professionalità estrema e una passione che raramente ho incontrato. Ha trattato il mio materiale con tatto e grande umanità e io gli sono molto grata.
