La pelle della trota iridea contiene molti più omega-3 degli stessi filetti del pesce e si candida ad essere un prodotto di interesse alimentare. Lo rivela una ricerca su Waste and biomass valorization, condotta dall’Università di Firenze insieme all’Ateneo di Udine.
“Le autorità sanitarie mondiali – spiega la responsabile del team Giuliana Parisi, docente di acquacoltura nell’Ateneo fiorentino – raccomandano l’assunzione per individuo adulto di circa 500 mg al giorno di omega-3, in particolare dell’acido eicosapentaenoico (Epa) e docosaesaenoico (Dha): l’equivalente a 3,5 g a settimana. Tale quantità è generalmente associata al consumo di circa 2-3 porzioni da 100 g di pesce”.
Ma molte specie non sono in grado di produrre ex novo gli acidi grassi Epa e Dha e devono pertanto introdurli con la dieta per poi accumularli nei loro tessuti e “negli ultimi 30 anni, a causa del depauperamento degli stock ittici naturali, gli ingredienti di origine marina sono stati fortemente ridotti e sono stati sostituiti con fonti proteiche (farine) e oli di origine vegetale.Questo cambiamento nei mangimi ha fatto sì che il contenuto di omega-3 nel pesce allevato si sia nel tempo ridotto“, precisa Giulia Secci, fra i ricercatori fiorentini insieme a Leonardo Bruni e Yara Husein.
Per aumentare l’approvvigionamento di Epa e Dha la strada sembra essere quella della valorizzazione dei sottoprodotti e della prevenzione dello spreco alimentare. “La pelle di trota – commenta Parisi – è una fonte preziosa di omega-3: il contenuto medio di omega-3 trovato in essa ammonta al 25% degli acidi grassi totali, a fronte del 15% contenuto nei filetti degli stessi animali. E la cosa più importante è che questa percentuale di omega-3 tende a restare costante nella pelle, a prescindere dalla dieta somministrata agli animali”.