Nella solitudine di un piccolo appartamento a Mantova, la sua città natale da cui mancava da tanti anni e dove per uno strano giro del destino si ritrova confinato in lockdown, lo scrittore inizia ad ascoltare la voce degli alberi, che nell’assordante silenzio pandemico che ha calato la sua cappa mortifera sul mondo finalmente riescono a trovare orecchie abbastanza sensibili da ascoltarli.
Lo scrittore è Antonio Moresco, uno dei più grandi autori italiani viventi, e il libro che nasce da questo ascolto impossibile, da questo dialogo con il mondo vegetale, è “Canto degli alberi”, uscito per Aboca Edizioni, la costola editoriale dell’azienda fitoterapica di Sansepolcro che nel 2019 ha lanciato una collana di narrativa chiamata proprio “Il bosco degli scrittori”.
Il Moresco che dialoga con gli alberi è lo stesso che nella trilogia-mondo “Canti del Caos” o nel più breve “La lucina” ci ha abituato all’incontro liminale con un universo nascosto, alla ricerca della maglia rotta nella rete da cui si possa intravedere un livello diverso di realtà: questa volta lo scorcio aperto dalla sua scrittura, la crepa da cui filtra la luce, ci catapulta in una dimensione panteistica, dove la natura non è palcoscenico muto per l’uomo, ma un attore vivo, vivissimo, con cui confrontarsi. Ogni albero ha la sua voce, il suo volto e la sua personalità: i primi a parlare al protagonista, durante le sue lunghe passeggiate nella Mantova deserta e assediata dal Coronavirus sono proprio le piccole radici, che approfittano dell’assenza umana per bucare l’asfalto e riprendersi lo spazio antropizzato, e poi gli alberi murati, che si fanno strada nei muri delle case, che durante la pandemia custodiscono i loro abitanti come bozzoli o prigioni.
Il colloquio che lo scrittore intesse con gli alberi – anima arborea del vivente – è l’estremo tentativo di redenzione di un’umanità stremata dal suo stesso egoismo, che sta divorando le risorse del proprio habitat, rendendolo inabitabile e condannandosi così all’estinzione.
La denuncia ambientalista che Moresco lanciava già ne “Il grido” qui assume la dimensione epica di un lungo addio alla nostra specie per come la conosciamo. Il canto degli alberi è il saluto all’essere umano, sciocca e piccola creatura che non impara dai propri errori, si muove da secoli seguendo le stesse dinamiche di potere e vuole sempre di più. Il mondo vegetale lancia un monito ben preciso: quest’essere accidentalmente apparso sulla Terra e capace anche di produrre pura bellezza, come la musica, dovrà mutare radicalmente per sopravvivere.
Durante il lockdown, mentre l’umanità impaurita dal virus si richiude in se stessa, il protagonista del tuo romanzo invece si apre a un dialogo con la natura, perché hai scelto proprio gli alberi?
È stato come un contromovimento interiore, ero rinchiuso e allora pensavo ad allargare gli orizzonti: questa situazione ha scatenato in me un’osservazione del mondo naturale, del mondo muto che nel silenzio generale stava come parlando, cantando e gridando con un voce che sennò non avrei sentito. Gli alberi murati sono quelli che fanno scattare l’identificazione con il nostro stato di reclusione di quel momento ma le prime a parlare sono le radici, è un riferimento al fatto che il libro è stato scritto a Mantova, dove non mi fermavo da quando avevo 20 anni, e mi ha portato a confrontarmi con il mio passato e le mie radici.
L’essere umano sembra non rendersi conto di essere solo una delle specie che fanno parte della natura, verso cui avverte invece una dicotomia: è questo forse l’atteggiamento sbagliato da cui è nata la distruzione del pianeta che l’uomo porta avanti? È possibile cambiarlo?
L’uomo si è messo in testa di essere qualcosa di diverso rispetto alla natura, un pensiero che affonda le sue radici in tutte le manifestazioni culturali e spirituali umane a partire dalla Bibbia, dove l’uomo domina la natura. Con la nascita della filosofia poi l’uomo si è inventato un ruolo umano superiore rispetto a quello del mondo naturale – l’uomo cerca la verità mentre tutto il resto del mondo naturale vive e basta – così si è sedimentato questo istinto di superiorità umano che adesso torna indietro come un boomerang, perché quest’uomo così tanto superiore è quello che si trova in un pericolo di specie maggiore rispetto a quello del mondo vegetale, che lui considera inferiore a sé. La pandemia ci ha fatto ragionare su questo aspetto: noi che siamo così grandi, così potenti, siamo stati messi in ginocchio da un virus invisibile, che ha messo in crisi le nostre economie, dovremmo trarne un insegnamento.
Canto degli alberi, Antonio Moresco
Nella parte finale del libro, bellissima, gli alberi mostrano al protagonista come sono riusciti a superare i propri limiti di specie, hanno imparato a rovesciarsi, a stare con le radici in aria e addirittura a cantare: è possibile per l’essere umano fare un salto di specie oggi inimmaginabile per salvare se stesso dall’estinzione?
Nel libro ci sono degli alberi che oltrepassano i loro limiti, che diventano buoni o cattivi a seconda delle case in cui sono radicati e nei cori finali arrivano a capovolgersi e a diventare musicali, come se volessero indicarci una traccia. Non so se questo sia possibile per l’uomo, ma la metamorfosi, la capacità di mutare profondamente, è insita nella natura: se è vero che veniamo dall’acqua e che dal mare sono venute fuori una serie di specie che poi si sono modificate, hanno trasformato le pinne in zampe o ali, vuol dire che la potenza metamorfica è compresa dentro la vita, e quindi perché l’uomo non dovrebbe avere questa forza dentro di sé? Adesso siamo in una situazione che non basterebbe una rivoluzione come quelle del passato a risolvere, abbiamo bisogno di una mutazione profondissima e verticale perché abbiamo dimostrato che il nostro modo di vivere, le nostre logiche e le nostre leggi ci rendono sempre più difficile se non impossibile la vita su questo pianeta. Magari questa divaricazione di specie è già in atto, questa è la speranza che io metto in campo in questo libro, che anche noi riusciamo a capovolgerci come specie, rimettendo così in discussione le nostre possibilità di esistenza su questo pianeta.
La musica pervade tutto il libro insieme alla poesia, a un certo punto gli alberi ricordano Virgilio, un altro poeta che era in grado di dialogare con loro: forse è l’arte l’unica vera invenzione umana per cui la nostra specie merita di sopravvivere?
Dopo quel lungo coro in cui gli alberi raccontano tutta la storia dell’uomo dal loro punto di vista – azzerando tutte le nostre manie di grandezze e dicendo voi siete brutti, piccoli, deformi – il giovane tiglio che il protagonista va a radicare nel terreno spiega che però c’è qualcosa che rende unica la nostra specie ed è l’arte, l’amore, la musica, infatti gli alberi si trasformano e diventano musicali proprio per salvare tutta la musica che gli uomini hanno creato.
Questo aspetto tra l’altro non ci sarebbe stato nel libro se il caso non avesse voluto che in un appartamento vicino al mio a Mantova mentre scrivevo non ci fosse stato un misterioso o una misteriosa pianista che suonava della musica meravigliosa, io non so chi è ma spero prima o poi di rintracciarla. Questo elemento musicale ha anche scatenato il ricordo del mio amore per la musica da ragazzo, del fatto che prima che uno scrittore avrei voluto essere un musicista.
Sono venuti al pettine tanti nodi emotivi e personali mentre scrivevo questo libro in grandissima solitudine: anch’io ero una piccola radice, affondata in una casa dove si produceva della musica.