Tre anni di studi e ricerche per ricostruire le tappe della cultura gastronomica italiana dal Medioevo all’Unità. Con scoperte interessanti come le origini dell’arista e dei vermicelli già noti ai tempi di Dante. Le parole del cibo sono state al centro di un progetto unico nel suo genere: selezionati 55 testi scritti, 18mila ricette e 400 parole.
Un lavoro che quindi analizza la biodiversità gastronomica straordinaria e le storie di prodotti alimentari conosciuti in tutto il mondo. I ricercatori hanno analizzato la varietà linguistica, legata a doppio filo ai territori, alle tradizioni e ai dialetti. Il risultato è un viaggio tra storia e cultura.
Un universo linguistico da cui riemerge la storia della cioccolata: originaria delle Americhe, portata in Europa dai conquistadores spagnoli nel XVI secolo di cui vengono ricostruite le prime attestazioni in Italia. O la parola lasagna, probabilmente di origine araba, per la forma della losanga in cui venivano tagliate le strisce di pasta.

Ogni parola è stata studiata con riferimenti storici e con l’indicazione dell’etimologia e della documentazione: vengono ricostruiti origini, storia e tradizioni delle pietanze per svelare mito e realtà della gastronomia italiana. Tutto a portata di clic in un unico portale sono raccolti: in una banca dati che contiene oltre 50 testi fra i più rappresentativi dal Medioevo alla fine dell’Ottocento.
Sono a disposizione un Vocabolario storico della lingua italiana della gastronomia (VoSLIG), redatto in forma digitale, che ricostruisce la storia di circa 400 parole tra le più interessanti della lingua del cibo e un Atlante geo-testuale, che proietta su una rappresentazione cartografica della penisola italiana i dati relativi alle attestazioni, alla diffusione, alla circolazione delle parole del cibo nelle loro varie forme linguistiche. Attualmente ospita 140 lemmi.
Hanno lavorato all’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità[/makr] (AtLiTeG) l’Università per stranieri di Siena, l’Università di Cagliari, l’Università di Napoli “Federico II”, l’Università di Salerno. La coordinatrice nazionale e ideatrice del progetto è la professoressa Giovanna Frosini, responsabile dell’unità di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena, capofila del progetto.
AtLiTeG è un Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca che, come sottolineato dal team che ha condotto le ricerche, si spera possa arrivare a coprire l’ultimo periodo, fino ai giorni nostri. È stato presentato pochi giorni fa all’Hotel Bernini Palace di Firenze in un incontro organizzato da Aset Toscana-Associazione Stampa EnoGastroAgroAlimentare Toscana.

È la professoressa Giovanna Frosini coordinatrice nazionale e ideatrice del progetto a spiegare l’utilizzo delle ricerche condotte nell’ambito di AtLiTeG.
Come mai la ricerca si è concentrata dal Medioevo all’Unità d’Italia?
“Il progetto dell’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana si estende dal Medioevo quindi da quando abbiamo le prime testimonianze scritte delle ricette della lingua del cibo fino alla fine dell’Ottocento, in pratica si ferma alla pubblicazione della “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Perché lì davvero c’è una rivoluzione nei contenuti e nella lingua”.
Possiamo ricordare la genesi di questo progetto scientifico?
“L’Atlante è nato raccogliendo una serie di linee di ricerca che esistevano negli anni precedenti. Anch’io su indicazione del mio maestro, il professore di Firenze Arrigo Castellani avevo studiato il registro di spese della mensa dei priori di Firenze del 1344-45. Un documento straordinario anche perché queste liste degli acquisti sono scritte per una buona parte dal cuoco dei priori. Quindi è una testimonianza interessantissima di un professionista che scrive quello che compra e che si appresta a cucinare. Ci sono stati poi altri progetti che però erano rimasti diciamo separati. Vari professori e studiosi si erano occupati di altri aspetti. Abbiamo poi deciso insieme ad altri tre colleghi: i professori Rita Fresu (Cagliari), Nicola De Blasi (Napoli Federico II); Sergio Lubello (Salerno) di provare a chiedere questo finanziamento ministeriale che abbiamo avuto per un progetto che è durato circa tre anni dal 2020 al 2024, tenendo conto che in mezzo c’è stato il Covid”.
L’Atlante è il frutto di un lavoro di squadra tra università?
“Sì, abbiamo deciso di fare sistema tra più università e abbiamo avuto un gruppo di 14 ricercatori e ricercatrici molto giovani e straordinariamente bravi che hanno anche trovato nuove soluzioni per esempio nel rapporto fra la parte diciamo umanistica della nostra ricerca: basata sui testi sul lessico sulle parole è la parte delle digital humanities cioè la parte informatica quindi basata sulla cartografia digitale e su tutto il trattamento digitale del vocabolario e dei testi. Oggi i testi sono a disposizione di tutti perché i risultati sono nel portale e sono interrogabili, navigabili, accessibili. Tutto è nato già in un’ottica digitale però poi si accompagna anche ad una collana editoriale cartacea presso la casa editrice Leo S. Olschki di Firenze”.

Quali sono le applicazioni pratiche della vostra ricerca?
“AtLiTeG nasce come risorsa innovativa e interattiva per tutti coloro che vogliono studiare e approfondire la cultura gastronomica italiana attraverso quello strumento privilegiato e straordinario che è la lingua. Grazie al portale si possono esplorare le origini, la storia e le tradizioni di molte pietanze, offrendo un viaggio di conoscenza senza precedenti, proprio perché uno dei principali obiettivi del progetto è quello dell’accertamento delle fonti, con studi di indagine molto approfonditi. L’auspicio adesso è quello di continuare il lavoro iniziato con nuove risorse per rendere sempre più completa ed aggiornata l’opera”.
C’è qualche esempio che possiamo fare legato alla storia dei piatti?
“L’esempio tra i più interessanti è quello dell’arista che ormai è riconosciuta come una parola molto antica, di origine greca. Ha però le sue prime attestazioni sicure in Toscana e a Firenze alla fine del Duecento. Questo serve anche un po’ a chiudere con la leggenda che lungamente ha circolato per responsabilità dell’Artusi che legava questo piatto al Concilio di Firenze del 1439 che aveva visto la presenza di padri della Chiesa d’Oriente in città. Invece noi abbiamo trovato in un registro di spese di un convento fiorentinissimo cioè quello che oggi si chiama il convento della Santissima Annunziata, già Santa Maria di Cafaggio. Stiamo parlando di attestazioni negli anni della giovinezza di Dante nel periodo 1280-1290. Così come abbiamo trovato citati i vermicelli cioè la pasta cilindrica lunga filiforme documentati sempre nell’età di Dante. È un esempio di pasta lunga che si consumava naturalmente allora in modo diverso da oggi cioè con un tipo di accompagnamento dolce ovviamente non c’era il pomodoro”.
La storia dei vermicelli porta a una riflessione sui piatti identitari.
“Questo aspetto ci porta a un altro tipo di considerazione: se noi guardiamo con l’occhio di oggi un piatto come gli spaghetti col pomodoro vediamo che è un piatto che oggi noi sentiamo come identitario italiano. Questa identità si è costruita nel tempo perché la pasta filiforme esisteva dai tempi antichi anche se non si chiamava spaghetti. La prima attestazione di spaghetti è stata trovata da una nostra ricercatrice, Monica Alba, ed è del 1817. Prima non è documentata la parola spaghetti. Il condimento del pomodoro poi deve entrare nel sistema alimentare gastronomico e questo è possibile attraverso la trasformazione in salsa. Quindi viene trasformato equiparandolo a un tipo di preparazione che era molto diffusa in Spagna e viene chiamata infatti salsa spagnola. Quindi un piatto che noi oggi sentiamo come molto italiano è diventato italiano nel tempo. Chi poi lo consacra diciamo nell’ordine del pranzo: primo secondo è sempre Artusi”.

Gioca un ruolo importante la figura di Pellegrino Artusi.
“Diciamo che è il grande regista della cucina italiana fondata sulla tradizione emiliano romagnola, Artusi era di Forlimpopoli, e poi Toscana e fiorentina tenendo conto che Artusi ha vissuto per due terzi della sua vita in piazza D’Azeglio. A lui va riconosciuto il merito di aver adattato la cucina alla nuova società italiana che stava nascendo. Una società borghese in cui le donne diventavano più direttamente responsabili della gestione della casa tanto è vero che Artusi è attentissimo a tre principi nel suo libro: igiene, economia e buon gusto. È il clima positivista della fiducia nella scienza di fine ‘800 che lui condivide. Non a caso il libro parla di scienza in cucina e di arte di mangiar bene: quindi un titolo doppio che esprime un po’ tutta la sua idea a cui si agigunge la forza di una lingua che è veramente una lingua nazionale”.