Eradicare le infezioni da epatite B e C nei bambini e negli adolescenti entro il 2030: è questo l’ambizioso obiettivo su cui sta lavorando un gruppo di specialisti selezionato a livello internazionale dall’Organizzazione mondiale della sanità. A coordinare la task force, è stato chiamato il professor Giuseppe Indolfi, pediatra specialista in epatologia del Meyer e professore associato dell’Università di Firenze. Un riconoscimento importante sia per il professionista sia per l’ospedale pediatrico fiorentino che, nel corso degli anni, ha fornito importanti contributi alla ricerca su questa patologia, una delle infezioni croniche più diffuse e con pesanti ripercussioni a livello di morbilità e mortalità. I risultati del lavoro di questo gruppo multidisciplinare sono stati pubblicati, nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista The Lancet Gastroenterology and Hepatology e sono stati presentati presso la Società europea di Epatologia.
Il gruppo ha messo a fuoco le strategie necessarie per sconfiggere la malattia: dalle conoscenze che ancora mancano all’appello alle pratiche cliniche. L’immunizzazione universale dell’epatite B alla nascita e durante l’infanzia e la disponibilità di terapie per l’epatite C sono risultate essere la strategia chiave per l’eliminazione globale dell’infezione. Anche la Regione Toscana è impegnata da anni su questo fronte, con un piano triennale di eradicazione dell’epatite C su tutta la popolazione.
La scoperta del virus dell’epatite C è relativamente recente e risale al 1989. Da allora gli specialisti del pediatrico fiorentino hanno scritto pagine importanti nella storia della battaglia contro questa patologia, una battaglia che si avvia verso un epilogo felice: oggi, infatti, la ricerca ha messo a punto terapie che sono considerate efficaci per sconfiggerla.
I pediatri del Meyer hanno impiegato importanti energie per dare il loro contributo: prima Alberto Vierucci, che per primo ha dimostrato la presenza del virus dell’epatite B in Europa, poi Massimo Resti, che, insieme ad altri, ha esplorato i meccanismi della trasmissione materno-fetale, analizzando i fattori di rischio e il processo di cronicizzazione della malattia. Tra gli studi più importanti, quello relativo all’allattamento: furono gli specialisti del Meyer a scoprire infatti che le mamme con questa patologia potevano allattare i loro piccoli senza rischi di infezione.