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La sfida della regista Livia Gionfrida: il teatro in carcere “palestra multiculturale” per ripensare il futuro

La regista fondatrice del Teatro Metropopolare di Prato, membro attivo del Coordinamento Regionale del Teatro in Carcere, racconta la sua esperienza e ci parla di “Visioni Aperte” le due giornate che si terranno il 26 e 27 febbraio al cinema La Compagnia di Firenze

Livia Gionfrida - © Augusto Biagini

Livia Gionfrida ha fondato nel 2006 il Teatro Metropopolare un collettivo artistico che ha scelto Prato come sede operativa, sviluppando progetti teatrali innovativi e impegnati socialmente.

Dal 2008, il Teatro Metropopolare ha instaurato una collaborazione stabile con la Casa Circondariale La Dogaia di Prato, trasformando il carcere in un vero e proprio centro di ricerca teatrale e residenza artistica.

Il collettivo ha realizzato numerose produzioni che coinvolgono sia detenuti che attori professionisti, affrontando opere di autori come William Shakespeare, Tennessee Williams e Samuel Beckett.

La compagnia si distingue per l’impegno sociale e la ricerca artistica, offrendo una prospettiva unica nel panorama teatrale italiano.

Attualmente Livia Gionfrida è membro attivo del Coordinamento Regionale Teatro in Carcere.

È una degli organizzatori di “Visioni Aperte” la due giorni che il 26 e 27 febbraio al cinema La Compagnia di Firenze racconterà la realtà del teatro in carcere in Toscana, un progetto pionieristico e unico in Italia che coinvolge 13 compagnie, fiore all’occhiello della Regione Toscana.

Teatro Metropopolare – © Ilaria Costanzo

Ecco la nostra intervista alla regista  Livia Gionfrida

Ciao Livia qual è secondo te l’importanza nel teatro nel carcere?

Il teatro in carcere è fondamentale per una miriade di ragioni differenti. In prima linea perché è la manifestazione di quello che può essere l’attenzione che la comunità deve avere per un luogo che fa parte integrante della società. Il carcere non è un luogo che dobbiamo dimenticare o mettere da parte. Dentro il carcere ci sono persone che prima o poi torneranno nella comunità, quindi è fondamentale che come dice l’articolo 27 della Costituzione italiana  che i detenuti abbiano l’opportunità di ricostruirsi una vita, di riflettere su quello che hanno fatto, la così detta “rieducazione” così viene chiamata dall’ordinamento penitenziario. A volte ci dimentichiamo che lo scopo del carcere non è una vendetta di Stato, i nostri padri costituenti ci hanno detto che deve servire ad avere una seconda chance. Il teatro entra in gioco perché è un luogo dell’anima e della mente, è una palestra sia di comunità che di relazione con l’esterno. Facendo teatro in 17-18 istituti noi apriamo il carcere al pubblico esterno, facciamo entrare artisti e operatori di vario genere. Lavoriamo sulle persone, sul loro vissuto emotivo e sulle loro storie, si crea quindi un doppio binario, da un lato il lavoro interiore di riscatto, dall’altro il riscatto anche della socializzazione che dovrebbe essere uno dei principali scopi del carcere. Perché altrimenti quando esci non se più neanche una persona.

Il carcere è una palestra multiculturale, incontri persone che parlano cinque, sei lingue diverse e vengono da tutto il mondo, è un’occasione importante per un’artista

Nella tua esperienza in carcere hai visto gli effetti del teatro sui detenuti?

Negli ultimi vent’anni ho visto svilupparsi tante realtà e ho visto gli effetti ultra positivi nelle persone. Teatro Metropopolare lavora anche con ex-detenuti, quindi oltre a tutto il teatro diventa anche un’opportunità di lavoro per i detenuti stessi. Oltre ad avere una situazione sociale più ricca di prima, perché hanno tanti contatti con gli operatori, quelli bravi lavorano che non è da poco.

In Toscana abbiamo avuto anche il caso di Aniello Arena ex detenuto del carcere di Volterra che dopo l’esperienza nella compagnia di Armando Punzo ha fatto tanti film importanti, ha vinto anche diversi premi

Certo, Armando è stato un precursore e ha dato anche il via al coordinamento. Si può dire che fa parte integrante del lavoro che la Regione Toscana ha fatto sul teatro in carcere, dall’attenzione incredibile che viene posta su questa cosa. E secondo me questo rende un paese più civile, perché un paese si misura da come tratta i detenuti dentro le carceri. Come diceva Goliarda Sapienza: “Il carcere è sempre stato e sempre sarà la febbre che rivela la malattia del corpo sociale”. Ecco che quindi questa attenzione secondo me è fondamentale e devo dire che siamo in un momento storico di grande attenzione anche a livello Ministeriale. Speriamo che questo ci porti a una società migliore.

Cosa succederà il 26 e 27 febbraio al cinema La Compagnia di Firenze?

Al cinema La Compagnia di Firenze saranno protagoniste in due giorni 13 compagnie che operano nei carceri di tutta la Toscana: Firenze, Pisa, Prato, Livorno, Gorgona, Massa Marittima e molti altri. “Visioni Aperte” è il rilancio di un coordinamento che esiste da tanti anni, una cosa bellissima che va rinnovata, riscoperta. E sulla scia di questo rinnovamento che Teatro Metropopolare porta avanti da tanti anni, si è pensato di organizzare un evento collettivo per raccontare questo nostro movimento di cambiamento, di rivoluzione e anche per far conoscere l’esistenza di un qualcosa che giustamente viene definito il fiore all’occhiello della Regione Toscana. La Toscana è stata infatti la prima in Italia che ha creato un coordinamento delle compagnie di teatro in carcere. Siamo diventati un modello per le altre regioni.

Qual è l’obiettivo della rassegna Visioni?

Lo scopo della nostra rassegna è quello di fare conoscere la nostra realtà e sensibilizzare le persone all’esistenza di questi luoghi che bisogna aprire. Bisogna invitare le persone ed entrare. Nella due giorni è previsto un confronto con le scuole, un incontro con le nuove generazioni, perché è fondamentale che loro comprendano il significato costituzionale del carcere che non è vendetta e non è violenza o punizione, chiudere e buttare la chiave. Sicuramente è un luogo di grande sofferenza in cui è meglio non finire, ma è anche uno spazio in cui riflettere sui propri errori.

Nel pomeriggio del 26 abbiamo previsto due tavoli importanti, uno più assembleare, dove le 13 compagnie si confronteranno, un discorso che ha a che fare anche con i linguaggi. Volevamo cioè sottolineare non soltanto l’aspetto sociale ma anche quello artistico. Dal teatro in carcere nascono esperienze artistiche importanti, io come regista ho imparato molto, sono 17 anni che lavoro in carcere, ho vinto dei premi grazie alle cose che ho imparato nel carcere. Quindi rifletteremo insieme su cosa il teatro in carcere può dare a livello di ricerca al teatro italiano. Il carcere è una palestra multiculturale, incontri persone che parlano cinque, sei lingue diverse e vengono da tutto il mondo, è un’occasione importante per un’artista.

Teatro Metropopolare – © Ilaria Costanzo
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