11 agosto 1944, ore 7. Firenze si sveglia con i rintocchi della martinella: la città è libera dal nazifascismo. Non dimentichiamo mai il sacrifico di donne e uomini che ci hanno permesso di essere liberi
Quella mattina di 77 anni fa i fiorentini insorsero pronti ad affiancare i reparti partigiani che stavano entrando in città per scacciare una volta per tutte le truppe naziste in ritirata.
Sono passati 77 anni. La necessità di ricordare, di tenere viva la memoria si fa ogni anno più pressante.
Ricordare è un dovere: “Il nostro impegno deve essere rivolto a rinsaldare una volta di più un legame ideale tra chi ha vissuto il dramma delle stragi e chi oggi custodisce la memoria dei valori di libertà e democrazia. È importante la loro testimonianza ed il collegamento ideale tra città e territori che hanno patito l’oppressione nazifascista. Non dobbiamo mai scordare che quell’orrore ci riguarda, che le dinamiche che portarono a quegli eccidi non sono solo episodi della storia e del passato, ma dobbiamo serbare memoria e adoperarci affinché non riaccadano”– ha ricordato questa mattina il sindaco Dario Nardella durante il suo discorso a Palazzo Vecchio in occasione del 77esimo anniversario della Liberazione di Firenze.
Accanto a Nardella, un rappresentante dei lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio in presidio da oltre un mese a seguito del licenziamento di massa da parte della proprietà, la presidente dell’Anpi Firenze Vania Bagni e i sindaci di alcuni Comuni che sono stati teatro delle stragi nazifasciste.
Le celebrazioni in città
Le celebrazioni si sono aperte stamani alle 7 con i rintocchi della Martinella, la campana della Torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio che l’11 agosto 1944 annunciò alla città il ritorno alla libertà e alla democrazia.
Alle 9 a Palazzo Vecchio, lato via dei Gondi, è stata deposta una corona di alloro alla lapide dettata da Piero Calamandrei a ricordo della Liberazione, mentre alle 10 in piazza dell’Unità italiana, con l’organizzazione e il coordinamento a cura dell’Istituto geografico militare, Ente dell’Esercito italiano, in collaborazione con il Comune di Firenze, è stata deposta una corona di alloro da parte delle autorità civili, religiose e militari al monumento ai caduti di tutte le guerre alla presenza dei Gonfaloni di Firenze, della Regione Toscana, della Città metropolitana e dei vari Comuni dell’area fiorentina, oltre ai labari della federazione delle associazioni partigiane e della associazioni d’arma e combattentistiche.
A seguire, alle 10.30, sull’arengario di Palazzo Vecchio, si sono tenute le celebrazioni ufficiali.
Le ferite di ieri, le ferite di oggi
La presenza sull’Arengario di Palazzo Vecchio di Dario Salvetti, componente della Rsu della Gkn di Campi, in rappresentanza dell’assemblea permanente della fabbrica segna un continuum tra le ferite di ieri e quelle di oggi, ferite che sanguinano quando i diritti vengono calpestati, quando gli uomini non sono uomini ma numeri.
Il suo discorso è stato accolto tra gli applausi: “In un mondo fatto di individualismo – ha detto – noi ci troviamo ad avere la scena mediatica perché vogliamo tornare alla catena di montaggio, oggi vorrei non essere qua, ma ad assemblare pezzi in fabbrica. Con quella mail – ha concluso, riferendosi all’annuncio di chiusura da parte di Gkn – hanno distrutto non una funzione produttiva, ma un corpo di diritti, e noi quei diritti li vogliamo per tutte e tutti”.
Il Pegaso, il cavallo alato per la ripartenza
Presente alle celebrazioni anche il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani che ha ricordato che il Pegaso, il simbolo della Regione, il cavallo alato segno di libertà fu utilizzato “dal presidente del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, un grande intellettuale che si era impegnato nell’azione partigiana, Carlo Ludovico Ragghianti, come simbolo del comitato nella presa del potere che dagli Alleati veniva a loro consegnato, dopo la caduta della dittatura fascista”.
Oggi in questo simbolo dobbiamo riporre le nostre speranze per la ripartenza post pandemia. Per Giani il Pegaso è il simbolo del dinamismo, di uno sguardo verso il futuro, segno di una ripartenza dopo la terribile emergenza sanitaria che abbiamo vissuto.
Il riferimento alle manifestazioni no vax
L’anno dopo la Liberazione Firenze fu insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Ferruccio Parri, in questa stessa città, solo qualche settimana fa manifestanti no vax sono scesi in piazza con cucita addosso la stella di David. Per il sindaco di Firenze: “Un paragone impossibile e intollerabile tra la persecuzione ebraica e le disposizioni sui vaccini”
Nardella poi ha aggiunto: “La stella di David cucita addosso è stato un simbolo doloroso, che per troppe persone ha significato famiglie distrutte, case abbandonate, deportazioni, sogni infranti, sofferenza e morte. Hannah Arendt la definì “la banalità del male”, in occasione del processo per crimini di guerra ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista responsabile di aver organizzato il trasporto di milioni di ebrei e non solo nei campi di concentramento.
Ebbene, credo che oggi siamo di fronte alla banalità dell’ignoranza. Ignoranza nella sua dimensione più misera. Quella che coniuga un uso distorto e inconsapevole della memoria all’indifferenza, alla sottovalutazione di ciò che è stato, alla superficialità e alla violenza, anche verbale, cui purtroppo una certa politica strizza colpevolmente l’occhio. A chi straparla di dittatura sanitaria dico di ascoltare le parole dei sopravvissuti, e di avere grande rispetto per loro e per i nostri anziani, che una dittatura, vera, l’hanno vissuta e hanno ancora il ricordo vivo di ciò che ha significato.
Lo scorso anno a Firenze abbiamo iniziato a posare le pietre d’inciampo davanti alle abitazioni delle vittime delle deportazioni. Un’iniziativa a cui tengo molto e che testimonia una volta di più le persecuzioni subite dagli ebrei fiorentini e non solo. Chi manifesta nelle piazze contro la dittatura sanitaria vada in piazza d’Azeglio, in viale Amendola, in piazza delle Cure e in tutte le altre vie, e legga i nomi e i cognomi di chi, perché obbligato a portare una stella di David, fu deportato e non fece ritorno a casa
La memoria è vita e ci impone di conoscere le radici del male, di non essere indifferenti, di custodire le testimonianze di ciò che è avvenuto, tenendo vivo il vissuto delle persecuzioni e alimentando ogni giorno l’impegno affinché simili crimini non si ripetano”.