Nel panorama musicale contemporaneo, dove le contaminazioni sonore superano ogni confine di genere, il disco realizzato da Vittorio Nistri (già fondatore dei Deadburger) e Filippo Panichi si distingue come un’opera audace e visionaria.
Unendo la raffinatezza della musica da camera con le suggestioni psichedeliche e le sperimentazioni elettroniche, il duo esplora territori sonori inediti, costruendo un ponte tra tradizione e avanguardia.
Questo lavoro non è soltanto un esperimento musicale, ma un viaggio immersivo che sfida le percezioni dell’ascoltatore, trasportandolo in una dimensione fatta di armonie rarefatte, ritmi ipnotici e paesaggi acustici astratti.
Una ricerca sonora che trascende le definizioni e invita ad abbandonarsi al potere evocativo della musica.
Il disco contiene ospiti prestigiosi: al contrabbasso, Silvia Bolognesi membro dell’Art Ensemble of Chicago, alla viola Giulia Nuti, ai clarinetti e al sax il polistrumentista di fama mondiale Enrico Gabrielli, al violoncello Pietro Horvath e al trombone Edoardo Baldini.
Ecco la nostra intervista a Vittorio Nistri e Filippo Panichi
Ciao Vittorio, ascoltando il vostro disco mi è venuto in mente un film di fantascienza, il viaggio di un solitario astronauta nello spazio, ma anche le musiche composte da Carpenter per i suoi film horror. Vi siete ispirati a un immaginario cinematografico?
Io credo che tutti i brani strumentali vengano da noi sempre associati istintivamente al cinema forse perché è il più frequente e diffuso utilizzo della musica per commentare storie, emozioni e immagini. Non è però l’unica fonte di ispirazione, nel nostro caso l’ispirazione è venuta anche dalla musica classica contemporanea, fino a esperienze della musica rock d’avanguardia. Per quanto riguarda l’horror e la fantascienza posso dirti che sicuramente queste composizioni sono nate in momenti di grande tensione, questo ha creato atmosfere spesso oscure, cupe e visionarie, ma credo che ci siano a nche sprazzi di luce. Io sento in questo album l’ostinata ricerca di luce e bellezza nonostante tutto.
queste composizioni sono nate in momenti di grande tensione, questo ha creato atmosfere spesso oscure, cupe e visionarie, ma credo che ci siano anche sprazzi di luce
Come avete lavorato insieme te e Filippo? Tu sei un musicista di formazione elettronica, invece se ho ben capito Filippo è un chitarrista più tradizionale
Siamo sfaccettati entrambi, la differenza maggiore tra noi è l’attitudine di fronte alla musica. Io sono un compositore e arrangiatore, amo la scrittura, il dialogo tra strumenti. Filippo invece è un improvvisatore radicale, fa performance e dischi che registra di getto. Per il resto Filippo si occupa di chitarra ma anche di elettronica e io mi occupo di elettronica ma scrivo anche le partiture per archi, violini, fiati e a volte anche per le chitarre. Diciamo che questo disco ha portato ognuno di noi fuori dalla sua “comfort zone” e questo è stato determinante perché la diversità è ricchezza.
Una domanda per Filippo: ho letto che in questo disco avete suonato molti strumenti autocostruiti, avete addirittura registrato gli ultrasuoni dei pipistrelli in volo?!
Gli strumenti che costruisco io sono “cose” per fare musica abbastanza rudimentali dal punto di vista elettronico. Anche perché a volte li distruggo mentre li suono quindi è bene che siano usa e getta e anche economici. In genere sono molle o oggetti che scelgo per il suono che hanno e li accoppio con microfoni a contatto o altri tipi di rilevatori di segnale. I pipistrelli invece sono stati registrati con una cosa che è in commercio, ce ne sono vari tipi, e serve per ascoltarli. Io la uso anche come microfono in situazioni live perché permette di registrare gli ultrasuoni di oggetti che usiamo comunemente ma non percepiamo, gli animali invece riescono a sentirli, un gatto o un cane riescono a sentire quelle frequenze.
Creare musica è un qualcosa che il musicista fa, in primo luogo per se stesso perché è un bisogno dell’anima, ma c’è anche il desiderio di comunicare qualcosa agli altri
Ho letto che hai usato anche un “mollofono”, che cos’è?
Sono diverse scatole che ho fatto io con molle a varie tensioni, come se fossero rudimentalmente accordate, anche se non è possibile accordare una molla in modo preciso. Fanno risonanza tra loro e poi io le passo attraverso degli effetti in diretta mentre le suono e ottengo dei suoni che hanno una chiara orgine acustica, sembrano intonati. Ne ho costruite di varie dimensioni, in alcuni casi anche per una volta sola. Per esempio avevo costruito una molla molto lunga che poi ho dovuto smontare.
Una domanda per Vittorio, quando componi pensi mai all’effetto che la tua musica avrà sull’ascoltatore?
Creare musica è un qualcosa che il musicista fa, in primo luogo per se stesso perché è un bisogno dell’anima. In alcuni musicisti, e io mi riconosco in questo in pieno, c’è anche il desiderio di comunicare qualcosa agli altri. La cura che io ripongo lavorando ore e ore sottratte al sonno nella notte, per definire dettagli e particolari, è fatta anche pensando di raggiungere il più possibile ipotetici ascoltatori. La più grande soddisfazione che io traggo dalla musica è proprio quando qualcosa che è nata esclusivamente per me e per Filippo è arrivata a toccare il cuore di qualcuno. Fare musica è un atto sia soggettivo che transitivo.
Ci sarà una restituzione live di questo album? Potremo venire ad ascoltarvi?
A Firenze sì, stiamo ricevendo proposte anche da altre città ma sarà più difficile. Il problema è strettamente organizzativo perché questo disco nasce dall’incontro di me e Filippo con un ensemble di musica da camera con archi e fiati, violoncello, viola, sassofono, clarinetto eccetera. Proprio il dialogo tra questi strumenti caratterizza l’album. Quindi sul palco oltre a noi due devono esserci almeno altri cinque musicisti, una formazione che ha i suoi costi. Giocando in casa dovremmo fare a febbraio una prima presentazione dal vivo nell’Antisalotto culturale di via della Fornace a Firenze.