Un legame doloroso e terribile, da cui nasce bellezza e memoria. Sauro Cavallini, spezzino di nascita ma fiorentino d’adozione, torna simbolicamente nel campo di concentramento di Fossoli con le sue opere d’arte, nel giorno del 77° anniversario dell’eccidio nazista di Cibeno, nel modenese, in ricordo dei 67 internati politici prelevati e trucidati dalle SS. Per l’occasione si sono riunite le massime autorità europee: il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli e la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen.
Dal campo di Fossoli transitarono cinquemila prigionieri, per poi andare verso i campi di sterminio dell’Europa centrale. Fra loro anche Primo Levi. Quella di domenica 11 luglio è stata una cerimonia toccante, commovente anche per l’intervento di Von der Leyen, con applauso e standing ovation di tutta la platea dei parenti degli internati. Ha parlato da “cittadina europea di nazionalità tedesca. È stato un soldato tedesco a ordinare di uccidere i vostri genitori e i vostri nonni. Una colpa profonda nella storia del mio Paese”. “La Resistenza ci ha ridato la libertà, agli italiani come ai tedeschi. So che devo la mia stessa libertà a persone come i vostri genitori e i vostri nonni”.
Il forte legame con Firenze
L’intensità della giornata è stato ben rappresentata dalle opere di Cavallini. Il suo legame con Firenze è sempre stato forte, un rapporto di amore che ha origini lontane: l’anno prima dell’alluvione fu Fiorino d’oro e poi, dopo la tragedia che travolse Firenze, da giovane scultore, si dedicò anima e corpo al recupero delle opere di Santa Croce.
Prima ancora, il giovane Sauro Cavallini nel settembre del 1943 fu deportato nel campo di Fossoli e vi rimase per circa un anno. Quelle presentate nella commemorazione sono opere in ferro, inedite e mai uscite dal Centro Studi a lui dedicato a Fiesole, nel fiorentino, dopo la sua scomparsa nel 2016. Sculture di circa due metri d’altezza ciascuna, realizzate durante gli anni ‘60 con la tecnica della “goccia su goccia” ovvero sciogliendo scarti metallici mediante fiaccola ossidrica fino a creare figure umane dove l’angoscia, la sofferenza, il grido di aiuto sono leggibili in modo inequivocabile. Fu il modo in cui Sauro Cavallini materializzò e affrontò il dolore delle privazioni e umiliazioni di quei mesi.
Nel cuore dell’Europa, ma guardando alla Toscana
L’Europa gli ha già dato tributo: il suo grande monumento dal titolo Inno alla Vita fu collocato nel 1990 all’interno del Palazzo del Consiglio d’Europa a Strasburgo, luogo dove tuttora è esposto in rappresentanza dell’arte italiana.
“Ha scolpito l’amore e la fratellanza ma anche la sofferenza – commenta Teo Cavallini, presidente del Centro Studi Cavallini – questa esposizione è il segno di una società civile che non dimentica, ma vuole mostrare a tutti quanto un uomo, prima deportato e poi artista, sia riuscito a creare ed esprimere senza parole; attraverso le forme tridimensionali delle opere di Cavallini esposte nel campo di Fossoli, ciascuno di noi può toccare e sentire quel ferro freddo, simbolo di barbarie e di libertà soppressa, e oggi è ricordo e monito per tutti i popoli d’Europa”.
Il presidente Sassoli ha invitato Teo Cavallini a Strasburgo e anche Romano Prodi ha intenzione di approfondire progetti che hanno nelle opere dell’artista il filo conduttore di un percorso di storia e di cultura. Firenze resta però sempre il posto da cui tutto parte e in cui si vuole tornare, come a rafforzare un legame che il tempo non può toccare. “Il nostro auspicio – ha annunciato Teo Cavallini – è poter esporre queste opere anche a Firenze, la città che ha scelto come casa e che amava. La mostra di un ex deportato che racconti questo percorso della memoria”.