Tornano libere di giocare e non c’è migliore epilogo per la storia delle tre calciatrici del Bastan Football Club di Herat e del loro allenatore fuggiti nell’agosto scorso dall’Afghanistan e dal regime talebano e accolte a Firenze. Torneranno in campo con la maglia del club Centro Storico Leboswki.
Impossibile e pericoloso continuare a giocare nel loro paese, dove gli estremisti hanno impedito alle ragazze di praticare qualsiasi sport a costo della stessa vita. Arrivate in Toscana lo scorso anno, sono state subito circondate dalle attenzione delle istituzioni, Comune di Firenze e Regione in prima linea, e dall’affetto dei cittadini.
Oggi finalmente torneranno in campo vestendo le maglie grigio nere del club fiorentino in Eccellenza. Ora la ripresa degli allenamenti, dopo aver passato le visite medico sportive, essere state accompagnate nelle pratiche ed aver fatto dei test a Coverciano grazie al sostegno di FIGC, Assocalciatori e dell’Associazione Italiana Allenatori di Calcio (AIAC Onlus).
“È con grande orgoglio che accogliamo queste ragazze e il loro allenatore nel nostro progetto sportivo e sociale: da parte nostra non vuole limitarsi a essere un gesto, pur importantissimo, di solidarietà, ma vogliamo anche che le ragazze possano continuare a coltivare il proprio percorso sportivo con il massimo della qualità e della soddisfazione”, dicono dal Centro Storico Leboswki. Soddisfatto anche il presidente dell’AIAC Renzo Ulivieri: “Aiutiamo delle donne che hanno vissuto in un contesto a dir poco difficile. E grazie alla fattiva collaborazione della società sportiva Lebowski permette loro di poter continuare a svolgere una attività sportiva in sicurezza e soprattutto intraprendendo un percorso di integrazione e condivisione con le altre calciatrici italiane”.
“Siamo persone, gente di sport, atleti ed atlete e questo è il legame che ci ha spinto a sostenere chi, semplicemente, ha la nostra stessa passione ma poche chance per esprimerla. Un filo che ci ha unito e che ora ci porta a fare un passo in più per tendere la mano ad altre persone e a tutte quelle donne, atlete e non, che sono rimaste in Afghanistan e si vedono private dei loro diritti e della possibilità di vivere una vita normale”, aggiunge Sara Gama, Vicepresidente Associazione italiana Calciatori
Le atlete e l’allenatore sono arrivati fino a qui grazie a Cospe che da 2008 opera in Afghanistan a fianco delle donne che sono riuscite a rompere il tabù delle professioni da uomini, diventando taxista, avvocata, giudice, politica. “E’ quella stessa generazione che, sfidando le tradizioni familiari e le minacce degli estremisti, ha iniziato a giocare a pallavolo, a calcio e ad andare in bicicletta – dichiara la direttrice generale di Cospe, Francesca Pieraccini – gesti rivoluzionari se si pensa che le calciatrici erano costrette ad allenarsi all’alba per non dare nell’occhio e che proprio perché vittime di minacce si erano rivolte insieme all’allenatore al Centro di ascolto COSPE di Herat già nel 2016”.
Grazie alla collaborazione con il Ministero degli esteri e della difesa, Cospe è riuscita ad evacuare 42 persone minacciate dall’Afghanistan, tra cui alcune calciatrici, cicliste e una pallavolista, oltre a diverse attiviste e attivisti per i diritti umani. Il progetto che ha coinvolto le calciatrici si chiama #unasolasquadra.