Fino al 2 febbraio sarà possibile visitare al Fortino Leopoldo I di Forte dei Marmi alcuni reperti provenienti dal Museo Egizio di Torino. “Gli Egizi e i doni del Nilo” è un’esposizione unica per ripercorrere la storia millenaria dell’antico Egitto che nasce dal rapporto tra la Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi con il Museo Egizio, settimo museo più visitato in Italia e seconda realtà nel mondo dedicata alla civiltà nilotica, che quest’anno celebra il suo bicentenario con un ricco programma di iniziative.
Per tutta l’estate e fino ad inverno inoltrato, residenti e turisti potranno dunque approfondire le arti, le tecniche, le professioni e i materiali utilizzati della grande civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo. Un percorso di visita pensato per tutti – adulti, famiglie, bambini e ragazzi – con visite guidate e laboratori didattici riservati alle scuole di ogni ordine e grado. In preparazione anche una speciale audioguida, con la voce dello scrittore fortemarmino Fabio Genovesi.
“La mostra intende – ha commentato Christian Greco, direttore del Museo Eigizio di Torino – sollecitare la curiosità, illustrando la complessità di quello che presentiamo. Gli oggetti esposti ci parlano di cultura funeraria, non perché gli Egizi fossero ossessionati dalla morte. Noi conosciamo la loro cultura materiale principalmente per aver scavato in necropoli e questa è la nostra principale chiave di accesso alla cultura dell’antico Egitto. Il racconto che facciamo qui, grazie ad un approccio prosopografico, vuole invece presentare le persone, oltre l’oggetto. Sono quindi felicissimo che, oltre coloro che potranno visitare la mostra d’estate, la comunità si possa appropriare di questa esposizione e la possa utilizzare per capire come quella memoria materiale, che proviene da un luogo distante, in realtà predetermini chi siamo noi oggi e ci proietti in quest’ottica mediterranea, dove la civiltà nilotica ha avuto un ruolo fondamentale”.
“Gli Egizi e i doni del Nilo” propone un viaggio nel tempo, dall’Epoca Predinastica (3900 – 3300 a.C.) all’età greco-romana (332 a.C. – 395 d.C.), attraverso vasi, stele, maschere, amuleti e papiri: reperti di grande valore provenienti dai depositi del Museo (l’Egizio custodisce 40mila oggetti, di cui 12mila in esposizione), pertanto normalmente non visibili al pubblico e, in alcuni casi, mai esposti prima.
Immagine guida dell’esposizione è una maschera funeraria di età romana (30 a.C. – 395 d.C.) proveniente da Assiut: una riproduzione idealizzata del volto del defunto, realizzata in cartonnage (materiale simile alla cartapesta) e destinata alla protezione magica della mummia.
Tra i reperti in mostra, un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del Primo Periodo Intermedio (2118 – 1980 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scafo. Queste imbarcazioni in genere rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla Galleria della Cultura materiale del Museo Egizio proviene invece il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 – 722 a.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare separatamente gli organi del defunto.
Il percorso espositivo è inoltre,arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimenti storico-scientifici sui reperti e sui diversi periodi storici, e da due significative riproduzioni provenienti dal Museo Egizio – la statua monumentale di Ramesse II e il sarcofago di Butehamon – per offrire testimonianza di reperti inamovibili, ma di grande interesse storico e artistico.
All’esterno del Fortino, la riproduzione della statua di Ramesse II invita i passanti ad accedere al museo. Realizzata in vetroresina in scala 2:1, l’opera costituisce un modello di bellezza assoluto per l’arte Egizia, paragonata dal padre dell’egittologia moderna, Jean-François Champollion, all’Apollo del Belvedere.
Il terzo piano del Fortino è riservato al sarcofago di Butehamon, per consentire ai visitatori di prendere idealmente parte allo studio scientifico del reperto, accedendo a contenuti multimediali. Riprodotto in scala 1:1 a partire dai rilievi condotti dal Politecnico di Milano e stampato in 3D, il sarcofago offre una concreta testimonianza di come i dati invisibili raccolti durante l’analisi di un reperto possano trovare una manifestazione materiale. Un sistema di mapping consentirà, infatti, di raccontare in modo dinamico come il manufatto fu concepito, costruito e successivamente restaurato.