Trentadue foto in bianco e nero, stampate in grande formato, che raccontano ogni dettaglio della Pietà di Michelangelo, detta Pietà Bandini.
Dall’8 settembre al 9 gennaio nel Museo dell’Opera del Duomo sarà aperta la mostra “La Pietà di Michelangelo. Lo sguardo di Aurelio Amendola fra naturalismo e astrazione”.
Terminato il restauro dell’opera di Michelangelo nel settembre 2011, è stato spiegato in occasione della presentazione, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha commissionato una campagna fotografica del gruppo scultoreo ad Aurelio Amendola, grande interprete dell’opera di Michelangelo.
Il frutto di questo lavoro è ora messo in mostra nella sala del Paradiso del museo fiorentino, dove per la prima volta viene realizzata un’esposizione.
Amendola aveva già fotografato la Pietà Bandini nel 1997, inoltre nel corso della sua carriera ha fotografato tutte le opere scultoree del grande artista rinascimentale.
A partire dal primo libro del 1994, “Un occhio su Michelangelo. Le tombe dei Medici nella Sagrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze dopo il restauro”, che gli valse il premio Oscar Goldoni per il miglior libro fotografico dell’anno, alle celebri immagini del David fotografato, come mai prima di allora, nella sua piena sensualità.
“La scultura è tutto per me, lavorando con le luci cerco di renderla viva, farla parlare – spiega Amendola -. Questo è sempre stato il mio intento”.
Per Antonio Natali, curatore della mostra “Non c’è lume che possa avvolgere omogeneo una materia tanto tormentata. E Aurelio non solo seconda l’invenzione originaria ma ulteriormente rafforza, anzi, la luce e per converso viepiù abbuia gli scuri. E le ombre sbattono con profili netti sulle superfici, chiare fino al candore. E il cuore del riguardante ne trasale”.
“Amendola – prosegue Natali – partendo dall’intero, avanza con l’obiettivo fotografico fino a incunearsi nei vuoti, nei sottosquadri, nei meandri d’una materia inquieta. Vi si muove quasi fosse – il suo – un esame autoptico; e, come in una dissezione, scopre e mette a nudo piaghe anche ripulsive sfuggite all’occhio, com’è quell’immagine ripresa di lato, da destra, che denuda la sezione verticale della coscia, mozzata di netto, con l’impudica rivelazione d’un foro quadrato per il perno d’un trapianto dell’arto. Foto d’impatto forte; anche perché in una sola veduta Aurelio poeticamente esibisce tutta la gamma degli stadi di lavorazione del marmo: dall’appena sbozzato al compiuto, dall’ancóra informe gamba di Maria cioè, – rugosa e scabra come una scultura parigina d’inizio Novecento (di Modigliani o Brancusi o di Henri Gaudier-Brzeska) –, al torso di Cristo, polito e fulgente come una pietra a lungo lucidata. Aurelio è sicuramente affascinato dalla capacità di Michelangelo d’essere soavemente forbito e nel contempo, però, potente”.