Fast fashion è la moda “usa e getta” che produce tonnellate e tonnellate di rifiuti e, risalendo su fino a monte della filiera produttiva, richiede per la sua produzione forsennata un consumo eccessivo di acqua e l’uso di pesticidi. Se in molte attività produttive che puntano su qualità più che sulla quantità la sostenibilità è valore e strategia, vero l’opposto per chi guadagna sui numeri proponendo prezzi bassi. L’Università di Pisa attraverso il progetto Planet4B passa all’azione con una ricerca sull’industria tessile e consigli alle nuove generazioni che stanno maturando una coscienza civile e ambientale più marcata del passato. Eccone alcuni: “Comprare meno e meglio, occhio ai prezzi bassi (bisogna sempre pensare che dietro ci sono persone, animali e biodiversità), attenzione alle etichette e alla trasparenza della filiera produttiva”.
Uno studio sulla filiera del tessile
Planet4B è il progetto europeo che vede l’Università di Pisa in prima linea per una moda sostenibile. Il team di lavoro sta infatti conducendo uno studio sull’industria tessile, tra le maggiori responsabili del degrado ecologico lungo tutta la filiera. I numeri raccontano meglio il fenomeno degradante: un chilogrammo di cotone richiede tra 10mila e 20mila litri di acqua; la produzione è responsabile dell’inquinamento per il 20 per cento delle acque a livello mondiale; altissimo l’impatto dei tessuti bruciati o eliminati in discarica, che ammonta al 73 per cento della fibra prodotta, mentre solo il 12% dei tessuti viene riciclato.
Lo scopo del comitato tecnico – composto da imprenditori, giornalisti e ambientalisti – che affianca i ricercatori dell’Ateneo è prendere parte a un percorso di trasformazione.
“Stiamo realizzando una ricerca transdisciplinare sull’impatto dell’industria della moda sulla biodiversità. La moda è infatti uno dei settori più inquinanti per il pianeta – dice il coordinatore del progetto Matteo Villa, professore al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa – ma c’è un’attenzione crescente, soprattutto fra le giovani generazioni, verso modelli di comportamento e di businness capaci di ridurre gli impatti negativi del settore, promuovendo produzioni di maggiore qualità, minor consumo e spreco di risorse naturali”.
L’obiettivo è dunque “individuare e studiare modelli di produzione diversi e innovativi e capire in che modo sostenerne la diffusione e lo sviluppo”, sottolinea la professoressa Marta Bonetti del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa.