Nonostante la pandemia il 2020 in Toscana si chiude con un segnale positivo per quanto riguarda gli investimenti. “Invest in Tuscany”, lo sportello regionale che fa capo direttamente alla presidenza della Regione e che da dieci anni prende e conduce di fatto per mano le aziende che vogliono investire in Toscana, ha appena tirato una riga sotto al 2020.
Il dato è il frutto, come accade dal 2016, di un’elaborazione propria, che mette insieme fonti statistiche e notizie uscite sui media, e il segno (sia pur in contrazione) è incoraggiante: soprattutto in prospettiva, perché significa che c’è chi scommette sulla ripartenza; ed è incoraggiante perché di un anno particolare come il 2020 si tratta, dove l’emergenza sanitaria e le misure restrittive imposte per arginare il contagio hanno ridotto gli scambi commerciali mondiali e dunque rallentato gli ingranaggi dell’economia.
69 gli investimenti complessivi
Il 2020 si è chiuso alla fine in Toscana con 69 investimenti per un valore complessivo di circa 1,4 miliardi: un dato forse sottostimato, visto che nelle operazioni di acquisizione, ad esempio, di rado viene reso noto il valore della compravendita. E su sessantanove investimenti, italiani ed esteri in parti pressoché uguali, nel 58 per cento dei casi di operazioni di acquisizioni si parla, seguiti a ruota da espansioni di aziende che già esistono (26 per cento) e per il 16 per cento da nuovi stabilimenti e filiali, quelli che gli addetti ai lavori indicano solitamente e in gergo come investimenti ‘greenfield’.
Firenze intercetta quasi la metà delle operazioni, il 48%. Dopo ci sono Pisa (14%), Arezzo (9%) e Siena (7%). Spicca decisamente il mondo della moda, con diciassette operazioni. Qualche esempio: il marchio Balenciaga ha annunciato la realizzazione a Cerreto Guidi di un nuovo stabilimento, Furla ha quasi completato il suo nuovo investimento a Barberino Tavarnelle, Fendi ha iniziato i lavori a Bagno a Ripoli (dove rafforzerà la propria presenza), Yves Saint Laurent sta investendo a Scandicci.
Moda, turismo e real estate
Dopo la moda ci sono il turismo e il real estate privato, che chiudono l’anno con sette operazioni a testa: dall’espansione di Villa Saletta, tanto per citare alcuni casi, alla vendita dell’ex clinica Santa Chiara a Firenze per la realizzazione di uno studentato, dalla concessione per cinque anni del complesso, sempre a Firenze, di Sant’Orsola fino all’avvio dei lavori per la realizzazione a Pomaia del più grande monastero buddista d’Europa. Importante è stato anche il contributo della farmaceutica: un esempio su tutti è il nuovo stabilimento della Menarini nell’area ex Longinotti a Firenze.
Ma altrettanto importanti sul fronte straniero le espansioni di GSK a Siena e Takeda a Pisa. E poi, non meno rilevante, c’è stato il rilancio della Magona a Piombino da parte del gruppo Liberty Steel.
Tra gli investimenti stranieri la bandiera predominante è stata nel 2020 quella francese (con dieci operazioni) seguita dal Regno Unito (con sette). L’anno appena chiuso si è contraddistinto inoltre, sul fronte “Italia verso Toscana”, per un aumento delle operazioni di ‘private equity’, ovvero di fondi azionari privati: sono state tantissime, hanno riguardato per lo più progetti di aggregazioni di medie imprese (di nuovo, principalmente, nel comparto moda) e non appaiono come tesi ad una mera resa finanziaria.
“Da questo punto di vista – commenta il presidente della Toscana, Eugenio Giani – come Regione non abbiamo pregiudiziali sull’intervento dei fondi di investimento, laddove attivino operazioni di investimento industriale, senza azioni rapaci sui marchi o sui lavoratori o interventi concentrati sul solo ritorno finanziario dall’investimento”. “Diversamente – chiarisce – se la logica fosse di estrazione di valore dal territorio, magari a scapito dell’occupazione o del costo del lavoro, allora la sponda non potrebbe che divenire un muro respingente”.
“Attrarre investimenti in Toscana, di multinazionali estere o di aziende italiane – prosegue il presidente – vuol dire infatti per noi creare un effetto volano che porta dietro di sé l’indotto e il tessuto delle nostre piccole e medie imprese, che costituiscono il 95% delle aziende della regione. Le multinazionali cercano tempi sicuri e percorsi amministrativi certi: è quello che con la struttura “Invest in Tuscany”, che proseguirà la sua attività, in Toscana si è cercato di fare negli ultimi dieci anni: aiutando le aziende a districarsi nella burocrazia ma senza mai perdere di vista la qualità degli investimenti e la loro sostenibilità (anche ambientale), ricercando gli investimenti più conformi alle vocazioni del territorio e costruendo relazioni con gli attori economici e le università che già vi operano”.
Invest in Tuscany è un modello virtuoso
Tant’è, lo ha ripetuto di recente a dicembre il sottosegretario Manzella, che “Invest in Tuscany” è diventato uno dei modelli nazionali più virtuosi a cui si guarda in Italia per esportarlo in Regioni che ancora non hanno una strategia sugli investimenti.
Certo la contrazione degli investimenti complessivi nel 2020 c’è stata ed è innegabile. Per alcuni aspetti si tratta di un vero e proprio dimezzamento. Gli anni record toscani rimangono il il 2019 (108 operazioni per circa due miliardi e 800 milioni di euro di investimenti, il 44% esteri) e il 2016 (67 investimenti, sempre per 2,8 miliardi). Rispetto al 2019 l’anno appena concluso segna una contrazione di poco superiore ad un terzo (36%) sulle operazioni e del 48 per cento sulle spese in conto capitale stimate. Il fatto che la Toscana sia stata comunque capace di continuare ad attrarre investimenti (e dunque aziende che intendono scommettere sulla sua economia) lascia ben sperare per il futuro.