La plastica differenziata in modo sbagliato può essere mangiata da organismi speciali, una sorta di super insetti potenziati con particolari enzimi, come tarme, lombrichi e funghi. E’ l’innovativo sistema di compostaggio a cui stanno studiando ricercatori da Italia, Germania, Spagna, Belgio, Gran Bretagna e Portogallo. Tra i partners italiani c’è anche il Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa.
Tutto parte da una constatazione nel settore alimentare e agricolo: solo il 30% della plastica impiegata nel packaging o in agricoltura viene reciclata correttamente. La maggior parte finisce infatti dispersa nell’ambiente o nei termovalorizzatori. “Il riciclo è difficile, perché richiede che le varie plastiche siano separate, e spesso quelle usate per gli imballaggi del cibo ne contengono residui. In questo scenario – spiega Patrizia Cinelli, docente di Fondamenti Chimici delle Tecnologie – l’analisi dei tempi e dei modi di biodegradazione della plastica dispersa nell’ambiente assume una grande rilevanza: dobbiamo capire in quanto tempo si biodegrada e se facendolo ha un impatto sull’inquinamento del suolo“.
Così nasce così il progetto Recover – Development of innovative biotic symbiosis for plastic biodegradation and synthesis to solve their end of life challenges in the agriculture and food industries – finanziato dall’Unione Europea che punta a studiare la biodegradazione della plastica usata nel packaging industriale e nelle attività agricole sfruttando l’attività di particolari organismi. Nello specifico, nei laboratori dell’Ateneo pisano, si occupano di verificare la biodegradazione dei diversi materiali post trattamento e di sviluppare la logistica e la progettazione degli impianti di compostaggio del futuro.
Come si creano i super insetti e cosa fanno
Il lavoro di ricerca prevede l’individuazione delle plastiche più adatte ad essere biodegradate, definendo metodi adatti a raccoglierle e pretrattarle, per poterle poi darle letteralemente in pasto a enzimi e microorganismi. Gli insetti e i microorganismi sono stati selezionati studiandone le caratteristiche in natura e potenziandoli poi con enzimi che li rendono in grado di assorbire di più le quantità di plastica necessaria. Tra gli organismi selezionati c’è l’Eisenia foetida (verme rosso californiano), il Lumbricus Terrestris (lombrico comune), il Tenebrio molitor (tarma della farina) e Galleria mellonella (tarma della cera).
Lo scheletro degli insetti diventerà imballaggio e poi fertilizzante
Oltre a manguiare la plastica, questi virtuosi organismi faranno anche altro: “In una ulteriore fase di sviluppo del progetto – prosegue Patrizia Cinelli – dallo scheletro degli insetti verrà estratta la chitina, da cui si produce anche il chitosano, con note proprietà anti-microbiche”. In altre parole, diventeranno a loro volta imballaggio e dai residui organici degli insetti e dei lombrichi si potrà produrre biofertilizzante.
L’obiettivo finale è mettere in piedi un processo di compostaggio condotto “da enzimi e microorganismi in grado di trattare in modo adeguato le frazioni di plastica e microplastica che arrivano al compostaggio insieme al rifiuto organico derivanti dalla produzione e commercializzazione degli alimenti e dalle pratiche agricole”, conclude la professoressa Cinelli. Un sistema innovativo e naturale che sia anche “uno strumento in più per limitare gli immensi danni all’ambiente che ora provoca la dispersione della plastica nel suolo e nel mare”.