Una donna viene chiamata a dirigere una colonia penale situata su un pianeta alieno e decide di partire per un viaggio nello spazio.
Comincia così “Cold Prison” l’ultimo libro dell’illustratrice Holly Heuser, di stanza a Milano ma fiorentina nel cuore, pubblicato da Eris Edizioni.
Tutto il racconto è un lungo monologo interiore, che si esprime visivamente in un sorprendente viaggio psichedelico e underground.
Il fumetto è stato realizzato da Holly con tecniche diverse: disegno, pennarelli, biro, china, collage, carte marmorizzate, biglietti dell’autobus appiccicati direttamente a mano sulla tavola.
“Cold Prison” è una graphic novel visivamente mozzafiato e naturalmente punk, che si ispira a maestri come William Burroughs e Philip K. Dick, ed è anche una riflessione sulla condizione umana, sulla solitudine, sulla vita e la morte.
Ecco la nostra intervista a Holly Heuser
Ciao Holly! Osservando negli anni i tuoi lavori ho come l’impressione che tu sia una di quelle persone che non può fare a meno di disegnare. Come hai cominciato a fare disegni? Quando hai capito che era la tua strada? Quali sono i tuoi punti di riferimenti sia visivi che culturali?
Ciao Costy! È vero che osservi il mio lavoro da ann i, hai curato la mia mostra “Me Against The Big City” a Firenze nel 2015! Ero già innamorata della grande città ancora prima di trasferirmi a Milano. Ho cominciato presto a fare disegni, e ho capito che ha senso quando faccio venire voglia di disegnare a qualcun altro. Quando brucia la torcia antica del segno magico su carta, quando sento lo spirito di Albrecht Dürer e di San Girolamo che mi incoraggiano per il mio duro esercizio.
Ho voluto evocare e sentire quel freddo immenso dentro, quel ghiaccio dell’aver lasciato indietro ogni sembianza di umanità. Volevo fare un salto in onore di Philip Dick, un salto nello spazio lontano
Il tuo ultimo libro parla di un viaggio, un viaggio nelle profondità dello spazio, che però mi sembra la metafora di un viaggio interiore, è così?
L’ho disegnato tutto di getto tra dicembre 2021 e gennaio 2022, andando a braccio, durante un esilio autoimposto al quindicesimo piano dopo la morte di un amore, e alla fine del mese di lavoro cieco ho guardato il libro finito e ho capito di aver fatto un viaggio dentro la mia mente: ho esplorato fino in fondo l’oscena ipotesi suggerita dall’ispirazione, cioè mi sono calata nel personaggio che deve andare a gestire una colonia penale su un altro pianeta, evocando sensazioni estreme per nascondermi dalla realtà o per cercarne una migliore. Ho voluto evocare e sentire quel freddo immenso dentro, quel ghiaccio dell’aver lasciato indietro ogni sembianza di umanità. Volevo fare un salto in onore di Philip Dick, un salto nello spazio lontano dal diarismo autoreferenziale del mio primo libro Milano Emotiva. È apparso questo personaggio dentro la mia mente e ho lasciato che i materiali (Moleskine 300gsm A4, pennarelli finti copic cinesi, inchiostro ecoline e pennino d’acciaio) buttassero fuori, attraverso la mia mano, vari scenari dentro e fuori la testa del suddetto personaggio, lavorando direttamente in bella e procedendo a loop lasciando che la storia si costruisse come un’onda che attraversa le pagine, inserendo pittura, collage e schizzando tra varie tecniche finché la storia si è conclusa nel modo che il lettore vedrà.
Nel tuo libro ripeti spesso delle frasi che mi hanno colpita molto, come “L’amore umano non era abbastanza”, “Sapevo che avrei ucciso un uomo”. Noi possiamo solo intuire che cosa hai attraversato negli ultimi anni. Però vorrei chiederti che cos’hai scoperto in questo lungo viaggio? Che cos’è la “Cold Prison” da cui sei fuggita, del titolo?
La prigione fredda del titolo è la vita umana sulla terra. Le altre frasi che hai menzionato vengono dagli insegnamenti di Hassan-i-Sabbah via W. S. Burroughs.
Come hai realizzato tecnicamente le bellissime tavole in cui si mescolano e si amalgamano i colori? Ho letto che hai usato la tecnica del ‘suminagashi’, in cosa consiste?
Le tavole a cui ti riferisci sono gli scenari spaziali, che dividono i vari capitoli di Cold Prison. Mentre rifinivo il libro insieme a Matteo Contin, l‘editore che mi ha connesso con Eris Edizioni, abbiamo capito che c’era bisogno di qualcosa che legasse insieme i vari capitoli. Ho fatto alcuni tentativi pseudo-narratologici abortiti, poi un giorno di sperimentazione con l’inchiostro su acqua e carta sono venuti fuori questi scenari spaziali, poi diventati l’ultima aggiunta al libro. La tecnica del suminagashi è una cosa seria giapponese e io ho soltanto copiato alcuni pezzi della tecnica. Si tratta di far galleggiare l’inchiostro sulla carta, modulandolo con altre sostanze e muovendo l’acqua per distorcerlo. Poi si appoggia un foglio sull’acqua e assorbe il motivo, che viene ‘stampato’ sul foglio. Ho avuto brividi freddi quando ho visto apparire questi scenari nebulosi, chiaramente galattici. È stata una piacevole conferma dell’importanza della sperimentazione tecnica.
Il concetto di ‘casa’ mi sembra molto importante per te, proprio perché hai cambiato spesso domicilio negli ultimi anni. Che cos’è per te la ‘casa’?
Durante l’esperienza Cold Prison la ‘casa’ era il tavolo con le pagine e i colori. Mi sentivo lontanissima da tutto nella mia capsula. Quella è la casa per me: la mia capsula in mezzo al Grande Anello di Spazzatura a 69km sopra la terra.
Il tuo libro è stato stampato in mille copie, mille copie delle quali hai disegnato a mano tutte le copertine. Che cos’è l’ennesima sfida di Holly? Un mantra? Una magia ?
Sì, Sonny e Matilde di Eris hanno proposto le copertine dipinte singolarmente, e mi sono sentita molto compresa, perché facevo già cose del genere, customizzando le mie fanzine con pittura. Quindi ho dipinto circa 850 copie, lasciandone un po’ da fare dal vivo al Crack!Fest, a Treviso e a Lucca ai vari festival di fumetto. Le ho dipinte nella sede Eris a Torino, lavorando in serie in gruppi di 50 copertine, facendo varie passate con acrilico, inchiostro e altro, rigorosamente nei colori rosso e rosa con il bianco delle stelle. L’ennesima sfida di Holly è riuscire a stare bene per un momento anche quando non sto disegnando.