Si dice che Alfredo Martini ciclista abbia vinto poco, ma bene. Solo per ricordarne una: lui fu il terzo nella Cuneo-Pinerolo del 1949 dopo Coppi e Bartali. E’ invece da commissario tecnico della nazionale italiana che ha collezionato maglie e Giri, ha cresciuto campioni e regalato al ciclismo la magia di uno sport duro, onesto e popolare. E’ grazie a lui se nel 2013 i mondiali del ciclismo sono arrivati nella sua Toscana.
Oggi che avrebbe compiuto 100 anni sono arrivati da tutta Italia i campioni del mondo che ha allenato e nelle loro parole cariche di commozione si riscopre un ct che è padre e amico. A Sesto Fiorentino e Calenzano, in una giornata dedicata al suo ricordo, sono arrivati insieme Giuseppe Saronni, Moreno Argentin, Gianni Bugno, Maurizio Fondriest, Mario Cipollini, Paolo Bettini, Alessandro Ballan. Mancava solo Francesco Moser, che non è potuto venire.
Saggio, onesto e schietto: ecco il padre dei campioni di oggi
“Un uomo buono e saggio, che sapeva farci andare d’accordo – lo ricordano così Ballan e Bettini – E’ la storia del ciclismo ed è grazie a lui che siamo riusciti a vincere”. “Un padre che ci ha seguito ai mondiali, è la storia del ciclismo”, dice Bugno.
“I ciclisti che hanno a che fare con lui sono state persone fortunate – ricorda Cipollini – La sua schiettezza onesta ti coinvolgeva e ti portava a crescere”. Con lui parlavi di tutto, “dalla cultura, alle poesie, all’allenamento. Era di una educazione particolare. Non potevamo non esserci oggi. Ognuno di noi ha un po’ di Alfredo con sé”.
I consigli di Alfredo Martini andavo oltre le strade, le volate e i tatticismi: “Sii riflessivo e mai arrogante. Questi insegnamenti me li son portati nella vita”, ha detto Fondriest. “Metteva sempre al centro la maglia azzurra ed era un dovere onorarla, con lui i campioni si mettevano a disposizione di altri campioni – continua Argentin – Ricordo le riunione che facevamo giorni prima, il suo quadernone dove annotava tutto degli avversari. Poi scoprivamo che gli avversari li avevamo in squadra, ma lui sapeva gestirci “.
Saronni è tra i più commossi. “Sono felice di ricordarlo, ma fa male dentro non averlo”. E’ entrato con Martini nella nazionale a 19 anni. “Per lui erano importanti la famiglia e i principi, rispettare ruoli e compiti e lui insegnava soprattutto questo. Gli piaceva tanto confrontarsi”. E anche per le discussioni: “Quando mi chiamava Beppino c’era da preoccuparsi, di lì a poco doveva succedere qualcosa..”, ricorda Saronni ridendo, con gli occhi pieni di commozione.