Sono soprattutto le donne a essere vittime non solo di una diffusa discriminazione di genere ma soprattutto del fenomeno del linguaggio d’odio, sempre più presente sul web. Solo un cambio profondo della mentalità e un’educazione al rispetto, alla parità e all’affettività potrà mutare le cose. Queste le conclusioni a cui è giunto “Parole violente“, il convegno sul tema del linguaggio d’odio e discriminazione di genere organizzato da Corecom della Toscana in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Un anticipo di quelli che saranno gli argomenti al centro della prossima Festa della Toscana il 30 novembre che in un’ottica allargata di difesa dei diritti prosegue la battaglia per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo accanto a una crociata contro coloro che sono portatori di un linguaggio d’odio.
“Il Corecom ha tra i suoi compiti anche quello di studiare il linguaggio e l’uso delle parole – ha spiegato il presidente del Comitato regionale per le comunicazioni Enzo Brogi –. Lo abbiamo fatto con il mondo giovanile, lo facciamo adesso in collaborazione con la Commissione regionale per le pari opportunità per la discriminazione di genere. Spesso in politica, nelle istituzioni e a scuola si costruiscono con le parole ‘mostri’ di violenza contro le donne. Il 43% delle donne ha subito violenza verbale, e questo mentre la parte maschile continua ad occupare i posti di potere in maniera straripante. Dobbiamo intervenire e lo faremo nelle scuole, con iniziative educative. Contemporaneamente la politica deve dare più spazio, più leggi, più ruoli, più responsabilità alle donne”.
L’incontro nella sala conferenze Expo Comuni ha visto il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Antonio Mazzeo ribadire l’impegno del Consiglio anche in vista dell’appuntamento del 30 novembre. “L’appuntamento di oggi è solo un punto di inizio – ha detto Mazzeo – perché abbiamo deciso di combattere la violenza di genere con una campagna di sensibilizzazione nelle scuole. Purtroppo la violenza contro le donne è una grave emergenza sociale, i femminicidi nel 2021 sono stati più di 100, ma solo il 15% delle donne che ha subito violenza ha avuto il coraggio di denunciarlo. Anche la violenza in rete colpisce soprattutto le donne”. Da qui la scelta di promuovere azioni di sensibilizzazione culturale che in prima linea coinvolgono gli uomini. “E’ incredibile come ancora molti si voltino dall’altra parte. Noi non saremo mai liberi finché ogni donna non sarà libera, finché non sarà chiaro che violenza e amore non possono stare insieme. La Toscana è stata, è e sarà sempre dalla parte giusta della storia, la parte dei diritti” ha concluso il presidente.
Francesca Basanieri, presidente della Commissione per le pari opportunità della Toscana, ha sottolineato come “la violenza sia solo la parte finale del problema: prima ci devono essere la prevenzione e le politiche integrate, per cercare di fermare questa spirale”. “Sono necessarie la lotta agli stereotipi e l’educazione all’affettività e alla gestione dei conflitti e la cornice di tutto questo, l’infrastruttura, è il linguaggio – ha detto ancora Basanieri -. Non ci sono solo le parole di odio dirette, ma anche quelle che discriminano e che vogliono sminuire il valore delle donne. Non è un caso che le più odiate in rete siano le donne che hanno potere, che ricoprono ruoli che storicamente sono sempre stati in mano agli uomini”.
Dopo una serie di letture dell’attrice Gaia Nanni per ripercorrere una serie di stereotipi, di situazioni in cui la violenza è subdola e sottile e i messaggi sono discriminatori nei confronti delle donne, la parola a studiose e addette ai lavori. Preoccupante il quadro che emerge per quanto riguarda i social, nel 2020 il ‘cluster’ delle donne è risultato oggetto di violenza per una quota del 49,9 per cento. I tweet negativi che hanno riguardato le donne sono il 43 per cento, seguiti da quelli nei confronti dei musulmani (19,57%).
Benedetta Baldi (Università degli Studi di Firenze) ha evidenziato come alla base del linguaggio d’odio ci sia “il rifiuto folle di accettare la parità” e come spesso le stesse donne abbiano difficoltà a realizzare di essere oggetto di pareri discriminanti, per il fatto che gli stereotipi di genere sono stati introiettati. Paola Rizzi (giornalista, associazione ‘Giulia giornaliste’), ha spiegato che l’associazione è nata dieci anni fa per combattere il gender gap nelle redazioni, dove, al pari di molti altri posti, per le donne è più difficile fare carriera. “Negli anni abbiamo registrato come le giornaliste donne vengano attaccate con linguaggio violento e sessista – ha spiegato -, per questo abbiamo avviato collaborazioni per fare una mappa dei profili femminili verso cui si esplicita l’hate speech”.
Elisa Giomi, commissaria Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e sociologa dei processi comunicativi, ha analizzato le radici degli stereotipi, le normative sugli stereotipi che interessano i media e portato esempi di messaggi discriminatori in pubblicità. Cecilia Robustelli dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che fa parte della Crpo toscana, ha ribadito che “il linguaggio d’odio è una forma espressiva nei confronti di categorie e ha come tratto caratterizzante l’emarginazione dell’altra persona e l’identificazione come persona diversa. E la diversità fa paura. Quindi una delle chiavi di volta per combattere il linguaggio d’odio è combattere la paura della diversità”.
Le conclusioni sono state affidata alla presidente della commissione regionale Cultura Cristina Giachi. “La riflessione sulle parole violente tocca un tema centrale del processo di contrasto alla violenza – ha osservato Giachi -. Come ci insegnano i linguisti, la consapevolezza nell’uso delle parole è un obiettivo determinante per generare un clima sociale di rispetto e cooperazione; essa richiede di intervenire nel campo dell’educazione emotiva e sentimentale e dell’educazione al corretto uso degli strumenti comunicativi, su tutti quelli digitali. Per questo costruire un discorso pubblico che si faccia carico di questo problema è oggi indispensabile. Le parole che usiamo sono la condizione di possibilità della realtà che siamo destinati a vivere”.