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Il jazz incontra l’hip-hop: il pianista Francesco Cavestri in concerto al Pinocchio Jazz Club

Al Pinocchio Jazz Club di Firenze sabato 7 dicembre il pianista e compositore Francesco Cavestri presenterà il suo progetto “Il jazz incontra l’hip hop”

Francesco Cavestri

Sabato 7 dicembre il pianista compositore Francesco Cavestri approda in concerto al Pinocchio Jazz Club di Firenze e per l’occasione porterà il suo progetto “Il jazz incontra l’hip hop” già presentato in prestigiose realtà come la Casa del Jazz di Roma, il Festival Time in Jazz in Sardegna e la Triennale di Milano per JAZZMI con ospite Willie Peyote, accompagnato da Mattia Bassetti alla batteria e Gabriele Costa al basso elettrico.

Cavestri con questo progetto indaga, tra riferimenti storici e contemporaneità, la relazione tra generi apparentemente lontana come il jazz e l’hip hop.

Fin dalle sue origini l’hip-hop è stato legato al jazz, in che modo? Storico e sociale perché sono entrambi generi che nascono dalle minoranze, da contesti socio-economici molto difficili

“Sembrano due generi difficili da conciliare, – ci ha raccontato Francesco Cavestri – invece è un incontro molto più naturale di quello che possa sembrare. Non tutti sanno che uno dei più grandi rapper ed esponente dell’hip-hop mai esistiti Snoop Dog, alla cerimonia di premiazione alla carriera ha ringraziato Herbie Hancock uno dei più grandi pianisti jazz, un grande virtuoso e innovatore, un gigante, per aver inventato l’hip-hop. Quindi fin dalle sue origini l’hip-hop è stato legato al jazz, in che modo? Storico e sociale perché sono entrambi generi che nascono dalle minoranze, da contesti socio-economici molto difficili. Il jazz nasce dalla schiavitù, dalle piantagioni di cotone, attraverso i canti di esternalizzazione di questa condizione agli estremi. L’hip-hop invece nasce nei ghetti, nel bronx, in una situazione di grande disagio. Ma sono legati anche musicalmente, perché entrambi condividono l’aspetto legato all’improvvisazione, l’hip-hop campiona tantissimo dal jazz, per costruirci sopra i beat e le basi.”

Come hai iniziato a fare musica?

Ho iniziato prestissimo, a quattro anni, a suonare il pianoforte. Mi sono avvicinato al jazz intorno ai 12-13 anni, ho avuto una folgorazione ascoltando il più grande disco jazz di sempre ovvero Kind of Blue di Miles Davis che è uscito nel ’59, ma potrebbe essere stato scritto ieri per quanto è contemporaneo. Quel disco mi aprì all’ascolto di questo genere meraviglioso di cui mi colpì soprattutto la libertà. Miles Davis nella prima traccia del disco che è “So What” con due accordi che si ripetono per tutto il brano (ovvero re minore e mi bemolle minore) elabora tutto l’orizzonte espressivo e sonoro che si può creare con due accordi, un mondo sonoro che ha segnato un’epoca e ha creato un’estetica nuova. Io venivo dal pianoforte classico e questo disco mi colpì tantissimo e mi aprì tutto un orizzonte di possibilità inesplorate.

Da cosa nasce questa grande libertà del jazz?

Il jazz è il genere che più si presta all’incontro con altre realtà musicali, proprio per questa sua capacità di guardarsi sempre intorno, è il genere più vivo di tutti. Rispetto alla musica classica il jazz è riuscito a sfuggire dalla condizione di “musica da museo”, musica che ripete se stessa e si reinterpreta. Proprio perché i jazzisti reinterpretavano brani del passato con la loro creatività e sensibilità.

Il repertorio della serata al Pinocchio Jazz Club spazierà dalle composizioni originali di Cavestri, che si trovano nei suoi album “IKI – Bellezza Ispiratrice” che vanta la collaborazione di Paolo Fresu e nel suo primo album “Early17” con il featuring di Fabrizio Bosso, fino a brani della scena hip-hop, new soul, jazz e R’n’b degli ultimi anni, oltre ai tributi ai giganti come Robert Glasper e John Coltrane.

“Nel mio ultimo disco “IKI -Bellezza Ispiratrice” che porto per la prima volta a Firenze sabato 7 dicembre al Pinocchio Jazz  – conclude Francesco Cavestri – ci sono sei tracce che appartengono a sei sotto-generi diversi. C’è il mondo dell’elettronica, del trip-hop con un tributo ai Massive Attack, c’è una citazione dei Radiohead, c’è un riferimento a Miles Davis e al cinema, ho campionato un monologo tratto dalla Dolce vita di Fellini. Sono tantissimi mondi che si rincorrono, si inseguono e si ispirano a vicenda.”

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