È una storia incredibile che meriterebbe di essere raccontata in un film.
50 anni fa i cittadini di San Donato in Poggio (Barberino Tavarnelle), mossi da un profondo spirito di collaborazione e solidarietà, unirono le forze e costruirono il cinema di via Senese scavando per anni nella roccia, tutti insieme.
Nei ritagli di tempo, la sera dopo il lavoro, nei giorni di festa giovani e anziani, gli uni accanto agli altri, con pale e picconi domarono la collina, a plasmarono le pietre di galestro: una favola moderna nata per realizzare un progetto pensato e voluto per tutta la comunità.
Ancora oggi, con la stessa voglia di tenere in vita un importante fulcro di socialità e aggregazione per tutto il paese, la rete dei volontari coordinati da Tommaso Franceschini, presidente della Società Filarmonica Giuseppe Verdi, si adopera per tenere aperto il cinema di San Donato in Poggio.
Si organizzano serate ed eventi culturali e ricreativi, fervono le idee per riempire e dare qualità al carnet che spazia dal cinema al teatro e alla danza.
“È una pagina straordinaria che lancia un ponte tra passato e presente – ha dichiarato il sindaco David Baroncelli – la testimonianza concreta di cosa significhi fare comunità, un luogo che oggi vive di una luce tutt’altro che riflessa, costruita, rafforzata, stimolata ogni giorno da tante persone e da un gruppo di giovani molto attivo. Azioni e gesti di questo mosaico nascono da un profondo senso di responsabilità trasmesso spontaneamente di generazione in generazione, il valore di alcuni di allora è riuscito ad affermarsi nel presente come patrimonio di molti, il senso del bene pubblico era ed è parte integrante del DNA di questa piccola grande comunità”.
I ricordi dei volontari della Società Filarmonica “Giuseppe Verdi”
I cittadini di San Donato in Poggio, figli ed eredi culturali della Società Filarmonica “Giuseppe Verdi”, istituita formalmente nel 1925, si attivarono (e non hanno mai smesso di farlo) per tenere in vita il loro cinema, lo spazio culturale sociale che quest’anno raggiunge la soglia d’oro del mezzo secolo di vita.
L’edificio originario, sede della Società Filarmonica di Giuseppe Verdi, utilizzato per incontri ed eventi musicali, fu eretto intorno agli anni 20 del secolo scorso. Fu negli anni Sessanta che la comunità si mise all’opera per ampliare lo stabile e costruirvi una sala cinematografica.
Con Piero Rodani si accendeva la magia del maxischermo nella sede della Filarmonica. “Ero a capo della sezione tecnica – ricorda – avevo poco più di 30 anni, gestivo le proiezioni nella cabina regia, cuore pulsante del neonato cinema del borgo, e lì mi divertivo a coltivare la mia grande passione per il cinema, poi sviluppata con il conseguimento del patentino di proiezionista, manovravo pellicole, pizze e proiettori d’inizio secolo, come fossero libri aperti sul mondo”.
Ernesto Galgani, animato da un forte interesse per la musica tanto da proporre la prima discoteca chiantigiana, si occupava della programmazione artistica. “Selezionavo le produzioni cinematografiche da proiettare nel weekend – rievoca – i grandi colossal italiani e stranieri, film western, drammatici, comici, horror, il più gettonato nella storia del nostro cinema resta il bellissimo, eterno “La dolce vita”.
Daniele Salvietti, anche lui giovanissimo, dava una mano al bar e si alternava dietro il bancone con i suoi coetanei per accompagnare gli imperdibili pomeriggi al cinema con qualche bevuta e snack. “Sono il nipote di uno dei musicisti che alla fine dell’800 suonava nella Filarmonica – dichiara orgoglioso mentre indica nella foto ingiallita dal tempo il suo avo con la tromba stretta tra le mani – ho avuto l’onore, in memoria di mio padre che contribuì alla realizzazione del cinema, di tagliare il nastro del nuovo spazio nell’autunno del 1973″.
E poi ci sono Filippo Ninci, ex presidente della Filarmonica, e Sonia Lensi che, anche se all’epoca era solo un’adolescente, ricorda ciò che la famiglia fece per amore del paese. “Le tavole del palcoscenico del cinema sono state realizzate a titolo gratuito e volontario da mio padre e mio nonno – sottolinea fiera – che di mestiere facevano i falegnami, l’obiettivo comune che ci siamo ritrovati a condividere con entusiasmo fu il grande, ambizioso desiderio di costruire uno spazio di cui potessero fruire tutti, tradotto in realtà grazie al contributo di ognuno”.