Dopo il restauro dell’Opificio delle Pietre Dure torna nel convento fiorentino di Santa Trinita il busto del Redentore attribuito a Pietro Torrigiano, rovinato dopo anni passati in una nicchia della cripta.
L’autore, noto soprattutto per il pugno a Michelangelo che ne deturpò il profilo, fu un artista irrequieto e dotato, apprezzato non solo a Firenze, ma anche nell’Inghilterra dei Tudor e dalla monarchia spagnola.
L’opera, una terracotta policroma di qualità altissima, ha richiesto un intervento impegnativo, preceduto da una approfondita campagna diagnostica.
A condurlo sono stati i restauratori del settore Materiali ceramici, plastici e vitrei diretto da Laura Speranza.
Il restauro, che ha coinvolto inizialmente anche gli studenti della SAF, è stato proseguito e portato a termine da Chiara Fornari, direttore tecnico del laboratorio, con la supervisione della soprintendenza competente: Jennifer Celani e poi Daniela Parenti.
Dopo il consolidamento della terracotta si sono recuperate le cromie originali che, pur frammentarie, si sono rivelate di grande raffinatezza, in particolare nel volto.
“L’intervento – afferma la Soprintendente dell’Opificio Emanuela Daffra – ha restituito, insieme, naturalezza e intensità espressiva ad una scultura dal modellato sensibilissimo non più mortificato dalle riprese. La qualità dell’opera, sempre sottolineata dagli studi ma ora più esplicita, dà ragione della sua fortuna, testimoniata da numerose repliche”.
“Vista l’estensione delle grandi lacune presenti sui panneggi – spiega Laura Speranza – si è scelto di limitare le integrazioni sull’ incarnato, anche in considerazione del fatto che la terracotta ha un colore chiaro che non disturba la visione. Tale scelta inoltre è stata dettata dalla volontà di mantenere il più possibile l’originalità dell’opera con la forza prorompente della sua plasticità, recuperata anche grazie alla rimozione delle ridipinture degli splendidi riccioli castani della capigliatura”.