Dal 7 al 9 luglio presso i giardini pubblici di Chiusi tornano tre giorni di musica a ingresso gratuito per uno dei festival più longevi della Toscana: il Lars Rock Fest.
Sul palco band internazionali come gli irlandesi And So I Watch You From Afar, i The Notwist e una vera “leggenda” della scena indipendente americana: i The Brian Jonestown Massacre.
Il Lars Rock è nato dal basso, dalla “scommessa” di un gruppo di amici che si sono rimboccati le maniche e hanno deciso di provare a portare anche nella provincia le band e i gruppi che amavano, dando vita a un festival che ha cambiato la vita di Chiusi, un paese che ogni anno si trasforma in una piccola “capitale del rock” che riunisce fan e appassionati da tutta Italia.
Realizzare una rassegna così è un grosso rischio che però nonostante il Covid e le tante incertezze dalla vita contemporanea gli organizzatori riescono a portare avanti da ben dieci anni grazie anche al supporto delle istituzioni e degli oltre 100 volontari.
Ecco la nostra intervista ad Alessandro Sambucari
Vorrei che tu tornassi con il pensiero ai tempi prima del Lars per raccontarmi com’era la vita in provincia per un ragazzo che io mi immagino appassionato di musica. Avevi una band? Dove andavi a sentire suonare i gruppi?
In realtà sono nato e cresciuto in un piccolo paese a nord di Perugia, perciò distante dal Lars. Mi sono avvicinato da subito alla musica avendo un fratello molto più grande di me. A 8-10 anni ascoltavo tutto quello che ascoltava lui: The Doors, Pink Floyd, The Cure, Bob Marley… Musica molto diversa da quella dei miei coetanei, perciò diciamo che mi sono autoappassionato seguendo un percorso quasi in solitaria per vari anni. Crescendo ho iniziato a frequentare ragazzi che avevano passione per la musica anche se, salvo rarissimi casi, sempre distante dalla mia. Come il 99% dei teen-ager degli anni ’90 ho avuto una band, ma stendiamo un velo pietoso. Anche frequentare locali che proponessero musica affine ai miei gusti in quegli anni, nella profonda provincia perugina, era un’impresa non da poco. Escluso il mitologico Norman c’era veramente pochissimo.
Sono convinto che se ciò che fai non piace innanzitutto a te si rischia che duri poco e, soprattutto, che si percepisca che non viene fatto con passione. Eravamo consapevoli che, per il taglio artistico proposto, ci sarebbe voluto qualche anno per crescere ma i fatti ci hanno dato ragione
Com’è nata l’idea di fare il Lars? Avresti mai immaginato che sarebbe arrivato fino ad oggi?
Nel 2011. Mi ero trasferito vicino Chiusi da poco più di due anni e tramite Elisa (mia moglie) avevo conosciuto il neoeletto sindaco. Dato che, già da qualche tempo, mi occupavo di booking per una band di amici e della direzione artistica per un teatro in provincia di Macerata, mi venne l’idea, pur conoscendo praticamente nessuno, di proporre un festival musicale “alternativo” a Chiusi rispetto ad altri storici già presenti nei paesi limitrofi. L’idea venne accolta positivamente dall’Amministrazione Comunale in quanto quello di creare una cosa del genere era anche un loro obiettivo. Non avevo naturalmente alcuna garanzia che il Lars sarebbe potuto diventare quello che è poi diventato negli anni, ma sarei un bugiardo se non dicessi che ero assolutamente convinto che aveva tutte le carte in regola.
Il Lars è stato anche un lento processo di coinvolgimento di appassionati alla musica e al progetto. Il nucleo iniziale del gruppo che poi ha creato l’associazione G.E.C. – Gruppo Effetti Collaterali nel 2013, era composto da me, Andrea Micheletti, Giannetto Marchettini, Elisa Tobia, Gianluca Sonnini, Chiara Cardaioli, Filippo Gailli, Lorenzo Botarelli, Chiara Guidoni, Matteo Micheletti e sicuramente altri che mi sto dimenticando e mi odieranno.
Immagino che non sia semplicissimo soprattutto a livello economico gestire un festival come il Lars, non ci si improvvisa così da un giorno all’altro, eppure voi ce l’avete fatta
È un “lavoro” (nessuno di noi percepisce un euro) e un rischio a livello personale che purtroppo a molti da fuori sfugge. Pur essendo un piccolo festival, il fatto che sia rimasto uno dei pochi completamente gratuito sommato alle tantissime spese per garantire tutti gli standard e rispettare le normative, fa sì che ogni anno sia sempre più un miracolo riuscire a confermarlo. Fino ad oggi, grazie all’aiuto dell’Amministrazione, degli sponsor e degli oltre 100 volontari, siamo riusciti sempre a proporre un festival di livello, con grandissima partecipazione di pubblico da ogni parte d’Italia. Aspetto fondamentale per una cittadina come Chiusi che sta investendo sul turismo.
Fin dal principio il Lars ha avuto una precisa impronta di genere. Gruppi quasi sempre stranieri di punk, post-punk, rock, noise, non si è mai fatta una scelta diciamo per ‘accontentare’ un fantomatico pubblico, ma avete sempre portato quello che voi ritenevate valido e questa scelta nel tempo mi pare abbia pagato, è così?
Era quello che volevamo fare: un festival “diverso” da quelli già presenti nella zona, che proponesse generi musicali e band che di solito non si ha la possibilità di vedere in provincia, associati anche ad altri nostri interessi: libri, vinili, presentazioni, live drawing, ecc. Si è partiti dal cercare di proporre al meglio delle nostre possibilità ciò che piaceva a noi e non cercare di presentare la band italiana di turno che si pensa porti gente. Alla fine sono convinto che se ciò che fai non piace innanzitutto a te si rischia che duri poco e, soprattutto, che si percepisca il fatto che non viene fatto con passione. Eravamo consapevoli che, per il taglio artistico proposto, ci sarebbe voluto qualche anno per crescere ma direi che i fatti ci hanno dato ragione. Abbiamo una parte di pubblico che torna al Lars tutti gli anni, che lo ha visto maturare e che ne ha apprezzato la coerenza e la cura. Quindi non direi che le scelte sono state fatte per accontentare il nostro pubblico consapevoli che comunque non si può accontentare tutti.